Diario di una
schizofrenica
di Marguerite A. Sechehaye
Giunti Editore
Collana Psicologia
Pagg. 192
ISBN 9788809046955
Rezzo € 12,50
Diario di una
schizofrenica è uno
di quei libri che toccano nel profondo facendo vibrare ogni corda delle
emozioni che ne vengono a contatto. E' una storia vera raccontata dalla stessa
protagonista, Renèe,
che ne ripercorre tutto il travaglio di una malattia, ancora incomprensibile
(per alcuni aspetti) a tutti quelli che ne vengono a contatto che siano
pazienti o medici.
Diario di una schizofrenica è un libro a due voci, che espone la malattia
mentale e nello specifico la schizofrenia da due angolature differenti ma
eguali; da un lato la descrizione della malattia da parte dell'ammalata stessa,
Auto-osservazione,
la paziente una volta guarita, rievoca in forma semplice e diretta la sua
storia come una propria drammatica vicenda spirituale; dall'altro lato la voce
narrante della Sechehaye,
una psicanalista di Ginevra, che ha seguito il caso elaborando essa stessa una
nuova tecnica terapeutica.
Ciò che sembrerebbe caratterizzare il mondo interiore della malattia mentale,
della psicosi, e in modo specifico della schizofrenia, è appunto la sua
incomprensibilità per l'uomo “normale“:
l'alienazione, e cioè il fatto che l'ammalato diventa un essere che non sembra
appartenere più alla comunità degli uomini, a questa nostra società che vive di
apparenze. Anche Renèe
è stata al di la dei confini dell'umanità come
comunicazione o comprensibilità. Ma quando guarisce e giunge, come lei dice, a
“sistemarsi definitivamente nella bella realtà”, essa riesce a rendere
comunicabili anche le sue esperienze di malata.
Nella seconda parte, da titolo Interpretazione, la Sechehaye
ci fa vedere come l'osservazione attenta sia importante: “…ho osservato dal di fuori il dramma di Renèe,
come uno spettatore che assista a manifestazioni esteriori senza penetrarne la
sua intimità”, e questo l'ha portata ad avvicinare, affettivamente, la paziente
permettendo così la sua guarigione. Scrive la Sechehaye:
Lo schizofrenico, anche quando si trova
in uno stato di decadimento mentale e psichico, resta in possesso di un'anima,
di un'intelligenza, e prova sentimenti talvolta molto vivi senza poterli
esteriorizzare. Anche nei periodi di indifferenza completa e negli stati stuporali in cui il malato non sente più nulla, gli resta
una lucidità impersonale che non solo gli permette di percepire quello che accade
intorno a lui, ma anche di rendersi conto dei suoi stati affettivi. Spesso è
questa stessa indifferenza che, spinta all'estremo, gli impedisce di parlare o
di rispondere alle domande che gli si fanno. E' allora che noi scopriamo in lui
tutta una vita fatta di lotte, di sofferenze indicibili e di provare gioie; una
vita sentimentale che le apparenze erano ben lontane dal far supporre e che è
estremamente ricca di insegnamenti per lo psicologo. Infatti Freud
scrive parlando dei malati mentali nelle Nuove
lezioni: “Questi malati sono
distolti dalla realtà esteriore ed è per questo che su quella interiore ne
sanno più di noi e possono rivelarci cose che senza il loro aiuto sarebbero
rimaste impenetrabili“.
La schizofrenia
consiste in una dissociazione fra l'affettività che è profondamente perturbata
dalla perdita del contatto con la vita, e l'intelligenza che resta inalterata e
che, come un operatore cinematografico, registra tutto quello che gli si svolge
innanzi. Naturalmente nella malattia vi sono periodi in cui lo stato stuporale è accentuato e in cui l'indifferenza è tale da
non permettere di fissarsi in tracce mnemoniche.
Fino a qualche anno fa si pensava si pensava che le forme schizofreniche non
fossero accessibili ad alcuna specie di psicoterapia. Freud stesso e
l'indirizzo psicoanalitico, che pur avevano combattuto la loro battaglia contro
l'orientamento costituzionalistico e organicistico della psichiatria, e che
avevano sostenuto che anche alla base delle malattie mentali sono
rintracciabili conflitti non molto diversi da quelli che si rincontrano nelle psiconevrosi, escludevano la possibilità di un
trattamento analitico della schizofrenia.
Risulta assai difficile
avvicinarsi a quelle forme patologiche di confine, si avverte una sorta di
barriera che si eleva fra l'ammalato e l'analista, una chiusura, e un'assoluta
incapacità per l'ammalato di comunicare effettivamente.
Negli ultimi decenni qualcosa si è modificato, come ci fa notare la Sechehaye,
anche nella Nevrosi vi è un terreno organico, traducendosi in una particolare
labilità dell'apparato psichico, che può più facilmente cedere di fronte alle
situazioni conflittuali che la vita (specialmente in età infantile) ci riserva,
oppure risolventesi in una particolare
predisposizione a reagire in un determinato modo (patologico) anziché in un
altro, a quelle situazioni conflittuali (determinando quella che Freud chiamava
la scelta della malattia).
Il concetto di guarigione non è un concetto metafisico, ma un concetto pratico.
In questo caso è stata proprio la paziente ad indicare in certo modo
all'analista il procedimento della realizzazione simbolica, importantissima per
la sua guarigione.
Katia Ciarrocchi
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