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  Letteratura  »  Grazia Giordani ha recensito Conferenze di Brema e di Friburgo, di Martin Heidegger, edito da Adelphi 18/02/2010
 

Conferenze di Brema e Friburgo di Martin Heidegger, Adelphi

 

 

IL PENSIERO DI HEIDEGGER SULLA QUESTIONE DELLA TECNICA E SUI PRINCIPI DELLA LOGICA

 


Continua la grande scelta editoriale di Adelphi, inerente la pubblicazione delle opere di Martin Heidegger (1889-1976), iniziata nel 1987, diretta da Franco Volpi.
Le "Conferenze di Brema e Friburgo", a cura di Petra Jaeger, con edizione italiana curata da Volpi e traduzione di Giovanni Gurisatti, offrono agli appassionati di filosofia, un grande viaggio dentro il pensiero heideggeriano, sulla questione della tecnica, quale chiave essenziale per la comprensione del mondo odierno (1949-Brema) e sulle distanze che prende l'autore dai tradizionali principi della logica (1957-Friburgo).
Con le sue riflessioni sulla tecnica, Heidegger pone il dito dentro le piaghe e le angosce dell'epoca: siamo nel periodo di ricostruzione postbellica; il grande filosofo tedesco è appena stato giudicato e condannato dalla Commission d'Epuration, per il suo trascorso nazionalsocialista; il clima è teso e si vive un disagio di fronte al futuro del mondo tecnicizzato. Negli anni Cinquanta ebbe grande successo il romanzo di Aldous Huxley "Il mondo nuovo", di estremo pessimismo nei confronti del destino umano che sbocca in un sistema totalitario del tutto privo di politica, completamente dominato dalla tecnica.
Già nel 1932 Ernst Jünger aveva esposto nell'"Operaio" la sua tesi secondo cui il mondo tecnico è destinato ad apparire come una potenza estranea in quanto non sarà mai raggiunta la "perfezione della tecnica" per mezzo della tecnicizzazione dell'interiorità dell'uomo. Un'umanità nuova, sognata da Jünger potrebbe essere impersonata dalla figura dell' "operaio", padrone della macchina in quanto "uomo libero", nietzsceanamante inteso. Il clima in cui prende dunque a far sentire la sua voce Heidegger è prevalentemente quello di demonizzazione e condanna della tecnica, ritenuta devastatrice, nefasta, demoniaca, nemica dell'uomo..
"La tecnica - dice Heidegger - è il modo in cui il reale si disvela", ovvero si libera, esce fuori, ("pro-vocazione") mostrandosi a noi. L'aggressione tecnica trasforma la natura in una "risorsa" reale o potenziale e per raggiungere fini positivi è necessario predisporre una sicurezza pianificante della risorsa; le conseguenze della tecnica possono essere controllate solo con i mezzi della tecnica stessa. L'"impianto" heideggeriano - in cui tutto è interconnesso - è dunque formato da pro-vocazione, risorsa, sicurezza della risorsa.
Heidegger - come acutamente sottolinea Volpi nella sua Avvertenza iniziale - è "convinto che il sistema della tecnica non dipenda da una macchinazione dell'uomo né da una sua voluta malvagità, Heidegger ritiene che oggi "ciò che è veramente inquietante non è il fatto che il mondo diventi un mondo completamente tecnico. Di gran lunga più inquietante è che l'uomo non sia affatto preparato a questa trasformazione del mondo"". "E soprattutto ritiene - prosegue il curatore dell'opera - che il sistema della tecnica non sia sussumibile o governabile sotto una forma politica piuttosto che un'altra: "Il movimento planetario della tecnica moderna è una potenza la cui grandezza, storicamente determinante, non può essere affatto sopravvalutata. È per me oggi un problema decisivo come si possa assegnare un sistema politico - e quale - all'età della tecnica"."
L'aspetto pericoloso, il rischio del pericolo, agli occhi del filosofo appare consistere nel fatto che la vita diventi unidimensionale, priva di alternative e che l'uomo dimentichi un altro modo di incontrare il mondo, vivendo in esso.
Nel destino epocale della tecnica il filosofo non vede solo i rischi, l'insidioso pericolo, ma anche un nuovo modo di iniziare la Storia, intesa come una nuova svolta E, a soccorrerlo in questa sua salvifica speranza, concorre il canto di Hölderlin, il poeta da lui tanto amato ("dove c'è pericolo/anche ciò che salva cresce").
"Che cosa significa pensare?" - chiede Heidegger, a proposito della natura del pensiero e delle sue leggi, dando avvio al tema del suo secondo ciclo di conferenze, dove, come ci avverte la sapiente indagine di Volpi -: "attraverso una vertiginosa messa in questione dei principi logici fondamentali sui quali si basa il pensiero corretto - il principio di identità, quello di non contraddizione e quello del terzo escluso - Heidegger si affanna a mostrare come questi non poggino affatto su un fondamento incontrovertibile, ma, all'opposto, se dovutamente problematizzati, aprano un abisso sopra il quale il pensiero è chiamato a librarsi con un coraggioso "salto fondamentale"."
Il destino del sistema della scienza e le sue radici più profonde , occultate nella storia stessa dell'Essere, sono dunque i grandi temi delle celebri "Conferenze di Brema e Friburgo", per l'interesse dei lettori italiani di testi filosofici e per tutti coloro che amano pensare.

 

Grazia Giordani

 

www.graziagiordani.it

 

 

 

 
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