Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
 

  Letteratura  »  La janara, di Licia Giaquinto, edito da Adelphi e recensito da Grazia Giordani 28/05/2010
 

La janara di Licia Giaquinto, Adelphi

 

Storia stregata impastata di dialetti e miti


IL LIBRO. Licia Giaquinto evoca mondi antichi

Storia stregata
impastata
di dialetti e miti

Grazia Giordani
«La janara» mescola le tradizioni alla trama da romanzo dell'orrore
Venerdì 21 Maggio 2010 CULTURA, pagina 49


Per pubblicare una storia stregata non si sarebbe potuto trovare copertina più adatta di quella che veste La janara (Adelphi, 193 pagine, 16,50 euro), il nuovo romanzo di Licia Giaquinto, poiché quella Mandragora officinarum che brilla in campo azzurro, così contorta e allusiva, già sembra racchiudere nell'essenza il clima magico della narrazione.
La janara, nella credenza popolare beneventana, soprattutto in quella contadina, è una delle tante specie di streghe che popolavano i racconti popolari. Il nome potrebbe derivare da Dianara, ossia sacerdotessa di Diana, oppure dal latino ianua, porta.
Il tema non dovrebbe farci meraviglia se la scrittrice, nota ai cultori del genere per il suo Cuori di nebbia, afferma di aver trascorso in Irpinia infanzia e adolescenza, in un mondo selvaggio, in un paese circondato da boschi, nutrendosi più di storie che di cibo, «storie narrate dalle donne che, sedute sugli usci delle case cucivano con l'ago e con la bocca e, intrecciando fatti veri successi “qui e ora” a fatti accaduti chissà quando e chissà dove, contribuivano alla tessitura di quel grande arazzo del mito e delle favole che milioni di donne hanno creato per secoli».
Quindi, va da sé che entrando nel mondo di Adelina, la janara del romanzo, predestinata a essere strega come sua madre e sua nonna, capaci di attraversare persino le porte che separano la vita dalla morte, dobbiamo dobbiamo abituarci a uscire dalla logica corrente, altrimenti non potremmo gustare questa favola nera nei suoi risvolti più inquietanti, sbalorditi dall'incontro di morti che parlano e di apparizioni sovrannaturali. Per sfuggire al suo destino di ragazza cercata dai compaesani per risolvere problemi quali cure, vendette e ancor peggio cruente interruzioni di indesiderate gravidanze, Adelina attraverserà per miglia e miglia «paesi, boschi e campagne», finché non raggiungerà la soglia di un misterioso palazzo ove verrà accolta come l'ultima delle sguattere, immediatamente invaghita del conte padrone che, in realtà, si trastulla con Lisetta, provocante adolescente, suscitando l'addolorata gelosia della nostra janara.
Nel palazzo vivono, fra gli altri, anche la perfida contessa e il contino, lascivo e profittatore delle ingenue fanciulle del luogo, antesignano di uno sbrigativo ius primae noctis.
Naturalmente, nulla anticiperemo delle sorti dei nobili di casa, e dei villici del luogo, dicendo solo che vi saranno omicidi e un suicidio, tanto per restare in clima con l'atmosfera fosca e cruenta di un romanzo che va letto per l'affresco che la Giaquinto ha saputo abilmente creare in un magmatico mix di vero e falso, di magico e realistico, tessendo una trama che se, da una parte ci sbalordisce, dall'altra crea una specie di incantamento, per cui, seppur sconcertati, non sappiamo staccarci da questo rosario di magici accadimenti.
Suggestivo l'impasto lessicale fatto di durezza e abbandoni lirici, di lingua italiana e dialettale per cui non si tarda a capire che l'autrice ha alle spalle anche pubblicazioni di poesie, tanto è potente ed evocativo il suo linguaggio capace di farci vedere «che la notte ha voci che di giorno la luce rende mute» e di farci odorare gli aromi e gli afrori, con rara suggestione olfattiva, di quel mondo arcaico che sa proporci, sapendo che così riesce ancora a temerlo in vita.


Grazia Giordani

 

www.graziagiordani.it

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014061737 »