Gabriele
Dadati, Il libro nero del mondo (Gaffi
Editore, Roma, 2009, pp. 197, € 14,50, ISBN 978-88-6165-052-7)
Il
libro nero del mondo non è, come il titolo indurrebbe a pensare, un compendio
sulle atrocità umane nel corso di secoli di Storia, un saggio sul Terzo Reich o
un catalogo dei campionati sfortunati di una squadra di calcio. E' un romanzo,
opera di un giovane e sorprendente scrittore, Gabriele Dadati
(Piacenza, 1982), per il quale gli unici aggettivi che mi ronzano nella testa,
a lettura ultimata, sono “intrigante” e “spiazzante”. Non trovo parole più
appropriate, nel mio intento di addentare la polpa narrativa di questa prova,
che non siano quelle del suo autore: «Il libro nero
del mondo presenta un luogo di tensioni sotterranee. Tutto all'apparenza fila
liscio lungo la distesa di una pianura, ma in realtà stiamo arrancando su una
salita micidiale.» E il tentativo – vano – di dipanare
un possibile intreccio mi spingerebbe a dirvi che, apparentemente, vi si
racconta di un cannibale che mette un annuncio sul giornale per accalappiare
potenziali vittime e trova qualcuno disposto a farsi mangiare. La vicenda ha
qualche legame con la cronaca, e subito la memoria corre al mostro di Rottenburg o a quello di Manhattan.
Qualche
pagina di distanza e ci ritroviamo sul set del film che il protagonista del
romanzo, Gabriele Lazzari, sta girando con l'intento
di cambiar vita e liberarsi dalle sabbie mobili della televisione. Gabriele è
un giovane regista donchisciottesco, concentrato con passione sul suo lavoro.
Ha l'occasione di girare un film d'autore ma deve anche tenere un piede al
botteghino e soddisfare la produzione. Rientra a casa tardi, la sera, e spesso
consuma pasti frugali in solitudine, perché sua moglie Nicole è corsa a qualche
raduno new age. Il rapporto
con Nicole è concreto e inattaccabile: «C'è una
componente del suo infantilismo che il regista trova totalmente sensuale. Il
loro matrimonio si salda nell'erotismo e nel gioco.»
Uno dei momenti emotivamente più intensi del romanzo è la lettera d'amore che
Gabriele scrive a Nicole dalla sua prigionia, profonda autoanalisi e ricerca
inafferrabile della genesi di un sentimento. La svolta nel racconto è di nuovo
imprevista e il senso di disorientamento ci pervade. Scompare l'attore che
impersona il cannibale, Marco Sernesi, ex amico di Lazzari,
afflitto da una crisi personale e professionale. In realtà Sernesi
è solo un'esca che permette al suo rapitore di arrivare a Lazzari;
il romanzo si tinge di noir e il regista si impiglia nella rete di un maniaco,
precipitando in quello stesso gorgo di follia e violenza che cercava di
rappresentare con la sua arte. Il mostro è preda di un delirio
mistico-religioso e tiene in ostaggio Gabriele, legato a una catena, affinché
possa farsi cronista delle sue gesta efferate.
Gabriele
Dadati evita accuratamente di compiacere il lettore,
lo depista nel momento in cui crede di essersi costruito dei riferimenti utili
alla comprensione del testo. Il libro nero del mondo si sottrae a una successione lineare sia degli eventi che del tempo
della scrittura; causa ed effetto non sono necessariamente consequenziali:
«Scegliere le cose che succedono e dare loro un significato è quello che fanno
gli uomini.» Così la realtà ci appare del tutto inattingibile: «Non c'è nessun
esatto teatro in cui compiere la propria ricognizione.»
Il Male di vivere sembra essere una delle nervature del sistema-romanzo di Dadati, ma la costruzione multitasking,
come in un browser dove vengono simultaneamente aperte numerose schede, collega
sacro e profano: i tratti della Vergine appaiono su un mezzo panino al
formaggio, un artista compra corpi di condannati a morte cinesi in internet per
sezionarli e farli diventare delle sculture, bimbi nella culla invecchiano
precocemente, il fantasma di una fanciulla fa capolino in diverse pagine del
libro, collegando fatti inaccostabili. La partizione del romanzo in Purgatorio,
Inferno e Paradiso, di dantesca memoria (qui in una sequenza scombinata), evoca
atmosfere di Apocalisse dell'ordinario: Gabriele stringe amicizia con una Maria
dal candore adolescenziale e virginale, la figlia del suo
carceriere. Espiazione, salvezza, conseguenza: il “cavo sotterraneo” di
cui parla l'autore si carica di energia e sbotta. Dopo l'Apocalisse assistiamo
all'apocatastasi, la rigenerazione del mondo dopo
l'avvenuta distruzione. Le rane cadono dal cielo, come in Magnolia
(U.S.A., 1999) e tutto ricomincia da capo.
La
singolarità di questo romanzo, però, la si coglie appieno nel suo scioglimento.
Il tempo, un altro dei costoloni che sorreggono la statica dell'edificio
narrativo di Dadati, è percorribile in ogni
direzione, non a caso lo stesso autore, nel corso di un intervista,
fa riferimento al film cult Donnie Darko (U.S.A., 2001). Le possibilità si
ampliano, il tempo si azzera e gli eventi potrebbero svolgersi in un universo
tangente. La voce narrante muta dalla terza alla prima persona e chi parla è l'autore
de Il libro nero del mondo. A corredo c'è anche un album fotografico del Dadati bebè ma i tasselli del puzzle non vanno comunque al
loro posto. L'età anagrafica non è quella, l'autore reale non è sposato con
prole. Il processo di identificazione e insieme di mistificazione è operante e
la prospettiva del lettore finisce definitivamente a gambe all'aria. Lacerti di
verità inducono a presumere agnizioni finali che però non arrivano, se non per
vie tortuose e ancora sotterranee: «La vita di tutti i giorni spinge sempre
fuori dai fogli.» Il Male di vivere ritorna, è una
serpe che striscia nascosta dall'erba alta: «Penso anche che questo che stiamo
vivendo è un momento storico brutalizzato, che il
posto dove dobbiamo vivere sta subendo delle devastazioni.» Gli affetti sono
solidi, quotidiani, vissuti con emozione e responsabilità,
ma la visione del proprio percorso esistenziale non è consolatoria: «Non
ci sarà più niente e subito dopo non ci sarà neppure più il ricordo di quello
che è sparito, perché il ricordo di tutto se ne andrà con noi.» Il distacco
della scrittura, scabra e disidratata, è quello di una lontananza siderale, e
perciò molto efficace sulla pagina quanto, per Gabriele Dadati,
nella ricerca metafisica di sé. L'intuizione più mirabile è forse la
similitudine della vita di un uomo con quella dei santi, che niente hanno a che
fare con Dio, che pure gode del loro operato. Emerge qui, prepotente,
l'imprescindibile formazione religiosa, l'humus dal quale siamo germogliati,
legati alla chiesa e al culto della redenzione. «(…)i
santi sono freddi come larve e assentono gravemente anche al nostro tempo. Il
sentimento di santità è proprio questo non sentirsi all'altezza che perdura ma
in realtà non annienta, spinge piuttosto a muoversi verso l'altezza.»
Gabriele Dadati (Piacenza, 1982) ha pubblicato Sorvegliato dai fantasmi
(peQuod, 2006), accolto con
calore da critica e pubblico, vincitore del premio Dante Graziosi e finalista
come “Libro dell'anno” nella trasmissione Fahrenheit di Radio 3 Rai. Cofondatore
della rivista letteraria «Ore piccole», collabora al quotidiano «Libertà» di
Piacenza e dirige una collana di narrativa per Barbera Editore. È autore di Booksweb.tv, la televisione dei libri ideata da Alessandra
Casella (http://www.booksweb.tv).
Alberto Carollo
www.albertocarollo.it/blog/