Una bellezza russa di
Vladimir Nabokov, Adelphi
Nabokov, racconti
rivelatori
Qual è il vero Vladimir Nabokov, il multiesiliato
poliglotta russo-euro-americano? Più
che mai vien fatto di porsi questa domanda leggendo la silloge Una bellezza
russa (Titolo originale: “The Stories of Vladimir Nabokov, pp.758, euro 38) che Adelphi – nel
lodevole intento di ripubblicare l'opera omnia dell'autore – porta per noi in
Italia, a cura del figlio Dimitri che sottolinea, fra l'altro, nella puntuale
prefazione come l'attuale raccolta, benché non intesa ad eclissare le selezioni
precedenti, sia organizzata in ordine cronologico dal 1921 al 1940 o quanto
meno secondo la miglior approssimazione possibile. “Ci vorrebbe –
sottolinea, in oltre – molto più di una breve prefazione per delineare i temi,
le procedure narrative, le immagini ricorrenti che in questi racconti si
intrecciano con gli echi della giovinezza di Nabokov in Russia, dei suoi anni
universitari in Inghilterra, del periodo émigré in
Germania e in Francia e del soggiorno in America, paese che – come ebbe a dire
– egli stava inventando, dopo aver inventato l'Europa”.
Leggendo questa corposa raccolta, impreziosita anche dall'inedito assoluto, Nataša (1921), delicatissimo, forse primo racconto scritto
dall'autore, nonché da due testi ritrovati in anni recentissimi e finora noti
solo al pubblico di lingua inglese: La parola (1923) e Pioggia di Pasqua
(1925), si resta stupiti dalla poliedrica personalità intellettuale di un
autore non solo di uno dei più sconvolgenti romanzi del Novecento - il pruriginoso e geniale Lolita, divenuto romanzo cult, nel
bene e nel male negli anni Cinquanta – ma anche magistrale creatore di
splendidi racconti.
Frantumata dentro il caleidoscopio della sua geniale penna, la realtà, filtrata
attraverso il suo immaginifico sguardo, si muta in situazioni oniriche o
credibili, regalandoci molteplici avventure popolate da nobildonne decadute
(con tutte le loro miserie e i loro tic!), ingenue signorine o perfide megere,
imbroglioni o puri, in un mosaico di anime e caratteri dentro cui pulsa forte
il cuore della nostalgia.
Il mondo émigré della Rivoluzione d'Ottobre popola la
pagina, portandoci a Parigi e a Berlino dove gli emigrati vivono spaesati Come
le mosche d'autunno – così li aveva descritti nelle sue toccanti pagine anche Irène Némirovsky - inventandosi
una nuova vita, arrabattandosi, lontani dal loro passato di splendori e di
privilegi, cercando anche di diventare scrittori, non sempre di qualità o di
intrecciare relazioni amorose talvolta con donne non proprio fedelissime.
Mirabilmente descritta, la
Berlino umida, piovosa, nelle cui pozzanghere sembrano
riflettersi non solo i cieli corruschi, ma anche le delusioni, le sconfitte, la
solitudine, l'amore, la follia di un'umanità provata. Nei fenomeni naturali,
Nabokov (Il Temporale) parrebbe volerci far subodorare un'epifania del divino.
Qualsiasi esistenza ora abbiano abbracciato gli emigrati sono lontani dalle
luci lattescenti della loro Pietroburgo (così ben descritta, a suo tempo, anche
dalla penna di Dostoevskij), lontani dalla “primavera artica, feroce e tenera,
umida e abbacinata”, lontani da uno splendore di vita da ricchi, spensierati.
Nella polifonica pagina nabovokiana vediamo il
brillio di sontuose toilette e preziose suppellettili, abbiamo l'illusione di
sentire la musica che esce dalle finestre di principeschi palazzi o il tinnire
dei campanelli di rapide slitte che sembrano portare lontano la vita di allora.
La patria e l'infanzia perduta cantano forte in questa silloge dove il paradiso
del passato continua ad essere quel prezioso scrigno di vita trascorsa che gli
permette di regalarci una nuova realtà, marchiata dalla grazia insolente della
sua prodigiosa scrittura.
Grazia Giordani
www.graziagiordani.it