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  Letteratura  »  Cenere, di Tea Ranno, edito da E/O e recensito da Salvo Zappulla, che intervista anche l'autrice 16/10/2010
 

Cenere

di Tea Ranno

Edizioni E/O

 

 

 

 “Cenere”, edito da E/O, è un romanzo di grande spessore, ambientato nel Seicento, nel periodo della Santa Inquisizione,  già arrivato finalista al premio Italo Calvino 2005 e al premio Giuseppe Berto 2006, colpisce per la grande capacita dell'autrice di scavare nell'animo dei suoi personaggi, la minuziosità nel rilevarne le sfumature del  carattere, il contrasto tra padroni e servi della gleba, il linguaggio potente, perfettamente in sintonia con l'epoca in cui è ambientato. Tea Ranno ha dalla sua la forza prorompente della scrittura, che non è preziosità estetica o barocchismo fine a se stesso ma elaborazione, identità stilistica, virtuosismo, il linguaggio proprio  degli scrittori di razza. Personaggi, storia e ambientazione si armonizzano come note di un'orchestra il cui ritmo incalzante coinvolge il lettore e lo rende partecipe delle vicende drammaticamente umane contenute nel romanzo. 

 

 

   Ho incontrato Tea a Siracusa, in occasione della conferenza organizzata dalla “Emanuele Romeo Editore” dedicata alla scrittura al femminile: “Scrivere donna”, dove era ospite d'onore insieme a Silvana La Spina e a Giovanna Giordano. Quale occasione migliore per scambiare quattro chiacchiere.

 

 

Tea, pare che “Cenere” sia destinato a non passare mai inosservato dalle giurie che lo visionano, prima finalista al Calvino, poi al Giuseppe Berto e infine vincitore del Mangialibri. Gran bella soddisfazione, no?

 

Sì, bellissima. La cosa che mi fa più piacere è che a sceglierlo e a votarlo sono sempre i lettori, dai quali, peraltro, continuo a ricevere grandi apprezzamenti. Che Mangialibri l'abbia considerato “miglior libro dell'anno” non mi sembra cosa da poco.

 

Cos'è per te la scrittura?

 

E' raccontare. E' un canto di sirena. E' ipnotizzare e lasciarsi ipnotizzare dal ritmo, dall'armonia, dal suono delle parole che acquistano corpo e sostanza e intramano sulla pagina vicende minime o straordinarie, tali, comunque, da non lasciare indifferenti, da operare in chi legge una trasformazione. Ma scrivere è soprattutto impegno, lavoro di lima e di cesello, è ricchezza di vocabolario, sfida a inchiodare il senso di ciò che si vuole dire con l'unica parola che sia in grado di farlo.

 

Ormai vivi a Roma da parecchi anni, che rapporti hai mantenuto con la Sicilia?

 

Di grande nostalgia. Appena posso vengo giù. L'esserne lontana, però, mi permette di acquisire quella giusta distanza per guardarla con obiettività: rendermi conto dei pregi, non nasconderne i difetti.

 

Cosa può fare un'intellettuale per risvegliare le coscienze dei siciliani? Le coste delle tue zone (Melilli e Priolo) sono tra le più degradate e ci mancava poco che trivellassero il Val di Noto, patrimonio dell'umanità, alla ricerca del petrolio.

 

Bisogna parlare, raccontare, ipotizzare i possibili disastri. Solo se si mettono gli altri in condizione di sapere, è possibile un cambiamento. Uno scrittore, però, è spesso come Cassandra: riesce a vedere tra le maglie del futuro e a inorridirne, ma quando cerca di rendere gli altri partecipi delle sue visioni ecco che non viene creduto, anzi, è tacciato di “eccesso di fantasia”, di “tendenza alla drammatizzazione”, e le sue parole – che comunque inquietano – vengono relegate nelle zone atrofiche della coscienza, anche di quella collettiva.

                                                                                                     Salvo Zappulla

                                                                                            

 

 

 
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