Cenere
di Tea Ranno
Edizioni E/O
“Cenere”, edito da E/O, è un romanzo di grande
spessore, ambientato nel Seicento, nel periodo della Santa Inquisizione, già arrivato
finalista al premio Italo Calvino 2005 e al premio Giuseppe Berto 2006,
colpisce per la grande capacita dell'autrice di scavare nell'animo dei suoi
personaggi, la minuziosità nel rilevarne le sfumature del carattere, il contrasto tra padroni e servi
della gleba, il linguaggio potente, perfettamente in sintonia con l'epoca in
cui è ambientato. Tea Ranno ha dalla sua la forza prorompente della scrittura,
che non è preziosità estetica o barocchismo fine a se stesso ma elaborazione,
identità stilistica, virtuosismo, il linguaggio proprio degli scrittori di razza. Personaggi,
storia e ambientazione si armonizzano come note di un'orchestra il cui ritmo
incalzante coinvolge il lettore e lo rende partecipe delle vicende
drammaticamente umane contenute nel romanzo.
Ho
incontrato Tea a Siracusa, in occasione della conferenza organizzata dalla “Emanuele Romeo Editore” dedicata alla scrittura al
femminile: “Scrivere donna”, dove era ospite d'onore insieme a Silvana La Spina e a Giovanna Giordano.
Quale occasione migliore per scambiare quattro chiacchiere.
Tea, pare che “Cenere” sia destinato a non
passare mai inosservato dalle giurie che lo visionano, prima finalista al
Calvino, poi al Giuseppe Berto e infine vincitore del Mangialibri. Gran
bella soddisfazione, no?
Sì, bellissima. La cosa che mi fa più piacere
è che a sceglierlo e a votarlo sono sempre i lettori, dai quali, peraltro,
continuo a ricevere grandi apprezzamenti. Che Mangialibri
l'abbia considerato “miglior libro dell'anno” non mi sembra cosa da poco.
Cos'è per te la scrittura?
E' raccontare. E' un canto di sirena. E'
ipnotizzare e lasciarsi ipnotizzare dal ritmo, dall'armonia, dal suono delle
parole che acquistano corpo e sostanza e intramano
sulla pagina vicende minime o straordinarie, tali, comunque, da non lasciare
indifferenti, da operare in chi legge una trasformazione. Ma scrivere è
soprattutto impegno, lavoro di lima e di cesello, è ricchezza di vocabolario,
sfida a inchiodare il senso di ciò che si vuole dire con l'unica parola che sia
in grado di farlo.
Ormai vivi a Roma da parecchi anni, che
rapporti hai mantenuto con la
Sicilia?
Di grande nostalgia. Appena posso vengo giù.
L'esserne lontana, però, mi permette di acquisire quella giusta distanza per
guardarla con obiettività: rendermi conto dei pregi, non nasconderne i difetti.
Cosa può fare un'intellettuale per risvegliare
le coscienze dei siciliani? Le coste delle tue zone (Melilli
e Priolo) sono tra le più
degradate e ci mancava poco che trivellassero il Val
di Noto, patrimonio dell'umanità, alla ricerca del petrolio.
Bisogna parlare, raccontare, ipotizzare i
possibili disastri. Solo se si mettono gli altri in condizione di sapere, è
possibile un cambiamento. Uno scrittore, però, è spesso come Cassandra: riesce
a vedere tra le maglie del futuro e a inorridirne, ma quando cerca di rendere
gli altri partecipi delle sue visioni ecco che non viene creduto, anzi, è
tacciato di “eccesso di fantasia”, di “tendenza alla drammatizzazione”, e le
sue parole – che comunque inquietano – vengono relegate nelle zone atrofiche
della coscienza, anche di quella collettiva.
Salvo Zappulla