Everyman
di Philip Roth
Edizioni Einaudi
Narrativa romanzo
Pagg. 123
ISBN 9788806186098
Prezzo € 13,50
Ammetto, per
me “Everyman” di Roth è stato un po' una delusione.
La storia diventa archetipo di ogni uomo al suo crepuscolo. Il romanzo inizia e
termina in un cimitero semi abbandonato. Il protagonista è un pubblicitario di
successo di cui Roth ripercorre l'intera vita secondo una linea corporale,
intima e psicologica. Una vita normale di una persona qualunque, infanzia,
amori, mogli, figli, sofferenza, vecchiaia, e l'avvicinarsi in solitudine alla
morte con tanta consapevolezza che presto il corpo perirà nel nulla. E'
presente il dolore fisico come “assoluta
alterità” che con la vecchiaia diventa “una battaglia inesorabile, proprio quando sei più debole”.
Tre matrimoni alle spalle con tre donne totalmente
differenti tra loro, è padre di due figli di primo letto, che lo disprezzano, e
di una figlia, Nancy che lo adora, nata dal secondo matrimonio con una donna
che lui ha saputo solo deludere. Il terzo matrimonio è con una donna molto più
giovane di lui, una fotomodella Danese, impreparata alla vita che non saprà
stargli accanto nei momenti cruciali della sua malattia. Nel
mezzo tradimenti, passioni e il perire del corpo…”Non aveva ancora settant'anni quando la sua
salute cominciò a declinare e il suo corpo a indietreggiare davanti alle
continue minacce”.
A sostenerlo qui come in molti altri momenti della vita, sino alla fine, il
fratello Howie, solido, affidabile, gioviale, ma
instaurerà nel protagonista un conflitto interno di emozioni, odio amore e
invidia ammirazione.
Toccante è il dialogo con il becchino dello stesso cimitero. Nella descrizione
di questo dialogo è pressante lo strazio di chi prende coscienza che la morte è
assenza di fisicità, “La concretezza
della loro vita non esisteva più” commenta il protagonista a
proposito dei genitori defunti.
C'è la riflessione sul suicidio come via di fuga, ma, “come si fa a scegliere volontariamente di lasciare
la nostra pienezza per quel nulla sconfinato?” Una pienezza, che
per il protagonista non è il risultato di una vita priva di errori, amarezze e
rimpianti, ma che è solo pienezza fisica; per chi come lui è consapevole che
nulla c'è dopo la morte, il legame con chi è già morto resta sulla terra, nelle
“ossa” di chi ha amato. “Tra lui e quelle
ossa c'era un rapporto molto stretto, molto più stretto di quello che esisteva
tra lui e le ossa non ancora spolpate”.
Prosegue con il suo ritirarsi a settantacinque anni, in un villaggio per
pensionati a dipingere passione, sogno di una vita che ora spera di poter
realizzare, qui vive anche il decadimento erotico oltre che l'essere spettatore
al cedere dei corpi dei suoi compagni di viaggio, amici e colleghi condannati
inesorabilmente a un analogo destino più o meno imminente: Morire nella
solitaria sofferenza fisica, e la presa di coscienza che è divenuto l'uomo che
mai avrebbe voluto essere.
Conclusione: una nitida riflessione sulla vecchiaia, sul tradimento del corpo,
sullo scarto profondo tra il desiderio di benessere fisico e l'impossibilità di
soddisfarlo e la solitudine nell'attesa.
Dicevo deludente perché anche se lo sfondo è molto significativo e induce alla
riflessione lo trovo stringato, molto noioso nelle prime trenta pag, che quasi
mi inducevano a chiudere il libro senza terminarlo. In alcuni passaggi anni di
vita e di riflessioni racchiuse in poche righe. Forse a mio parere meritava una
maggiore estensione. Roth non graffia, come aveva invece
fatto in libro “Il teatro di Sabbath”, definito da
Milan Kundera come “l'unione inconsueta
di confessione e ironia”, “uno dei più straordinari romanzi degli ultimi anni”
come lo definisce The New York Review of Books, con “everyman si limita a descrivere un'autobiografia postuma di
un uomo qualunque e nemmeno con le sue grandi doti narrative.
Ho trovato sensazionale la copertina del libro: nera da cima a fondo.
Note biografiche dell'autore:
tratta da Wikipedia
Philip Roth è nato nel 1933 a Newark, nel New
Jersey. Ha studiato prima alla Bucknell University, per poi trasferirsi alla Chicago University dove completa il corso di laurea in letteratura
anglosassone. Si dedica poi all'insegnamento, arrivando a insegnare scrittura
creativa e storia della letteratura alla Iowa e a Princeton. L'esordio narrativo è
avvenuto con Goodbye, Columbus: sei racconti in cui Roth sfodera da subito uno
stile ironico, coltissimo, imbevuto da suggestioni culturali cui è stato sempre
soggetto: la psicanalisi, il laicismo di matrice ebraica, la satira del
contemporaneo. Il capolavoro viene sfoderato da Roth al terzo titolo. Portnoy's Complaint (Il lamento
di Portnoy) è al tempo stesso una tragedia e una
commedia personale, recitata da Alexander Portnoy, un
paziente ossessivamente monologante sul lettino, preda di una nevrosi
inestricabile a sfondo maniacalmente sessuale. Dopo
il Lamento, Roth riesce ad uscire dalla gabbia di genere in cui si era
magistralmente cacciato col suo capolavoro, e mette insieme una serie di titoli
che, indubbiamente, costituiscono una delle punte di diamante della letteratura
contemporanea americana. Particolarmente felice, la saga che ha al centro il
personaggio di Nathan Zuckerman (My
Life As a Man, The Ghost Writer,
Zuckerman Unbound, The Anatomy Lesson e The Counterlife). Imprevisto e roboantemente
epico, l'ultimo sviluppo della narrativa di Roth: con Pastorale americana, un
romanzo dal New Yorker definito “epocale” e con Ho
sposato un comunista, Roth passa dall'allegoria alla cronaca letteraria della
storia dell'intera nazione americana. Roth si è aggiudicato una serie
impressionante di National Book Award for Fiction,
mentre nel '98 gli è stato assegnato il Pulitzer per Pastorale americana.
Attualmente Philip Roth vive nel Connecticut
Katia Ciarrocchi
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