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  Letteratura  »  La lezione dei maestri, di George Steiner, edito da Garzanti e recensito da Arcangela Cammalleri 01/04/2011
 

George Steiner

La lezione dei maestri

Charles Eliot Orton Lectures

2001-2002

Titolo originale Lessons of the Masters

Ed. Garzanti

Genere-Saggistica

 

Quarta di copertina. Che cosa autorizza un uomo o una donna a istruire un altro essere umano? Dove risiede la fonte dell'autorità dell'insegnamento?

 

 

Nelle note introduttive l'autore dà una semplificazione del contenuto di questa serie di lezioni tenute alla  Harvard University nell'anno accademico 2001-2002.

Steiner disamina la figura dell'insegnante e al mistero che si cela dentro la “professione”. Nelle molteplici infinite forme d'insegnamento – elementare, tecnico, scientifico, umanistico… si perde la distanza necessaria nel considerare il prodigio della trasmissione. Che cosa autorizza un uomo o una donna a istruire un altro essere umano? Dove risiede la fonte dell'autorità dell'insegnamento? La questione tormentava Sant'Agostino ed è diventata scottante, soprattutto, nella società contemporanea in cui la cultura è considerata meno ai fini utilitaristici del profitto. Steiner  individua tre tipi di relazione intercorrenti tra maestro e discepolo. I maestri che al pari di vampiri hanno distrutto psicologicamente ( paradossalmente anche fisicamente) i loro allievi. Ne hanno spento gli spiriti, le speranze, sfruttando la loro dipendenza. Come contrappunto allievi che hanno tradito i propri maestri. Appena eletto Rettore, Wagner allontanerà un Faust morente, già suo magister. Abbandonare il proprio maestro per diventare se stesso. La vicinanza elettiva tra Virgilio e Dante e il  venir meno della dipendenza tra maestro e allievo è manifesto dall'esilio irreparabile di Virgilio dalla salvezza: l' intransigenza di Dante nel relegare Virgilio nell'etterno esilio, eppure il momento dell'addio porta la Commedia ad uno dei suoi punti più alti di pathos letterario (Purgatorio xxx). Il terzo tipo è quello dello scambio, idealmente una sorta di osmosi in cui il maestro apprende dal discepolo mentre gli insegna. L'intensità del rapporto genera amicizia nel più alto senso della parola. Si pensi a Socrate e Alcibiade, Abelardo e Eloisa, Heidegger e Arendt. Queste modalità di relazione assumono svariate sfumature ed ha ispirato testimonianze religiose, filosofiche, sociologiche e scientifiche. É stato inteso l'insegnamento autentico come imitatio di un atto  trascendente, divino, l'insegnante un messaggero la cui ricettività ispirata lo ha reso capace di apprendere un Logos rivelato; è questo il modello che conferisce validità all'insegnante della Torà, all'interprete del Corano, al commentatore del Nuovo Testamento. Per analogia tale paradigma si estende all'insegnamento secolare per cui l'autorità didattica si ottiene grazie alla dimostrazione esemplare, l'insegnante dimostra e mostra allo studente la propria capacità, nell'eseguire o l'esperimento chimico, o a risolvere un equazione …. L'insegnamento esemplare è una messa in atto, è valido in quanto si mostra, il dicere latino, che significa mostrare, e solo più tardi, mostrare dicendo. ( L'insegnante, in fin dei conti, non sarà forse uno showman?). Queste naturalmente sono idealizzazioni, la figura del maestro, investito di un potere psicologico, che può premiare, punire, escludere; la sua autorità istituzionale, carismatica o entrambe le cose cozzano  con le odierne culture in cui figure sociali di potere sono ben altre. In passato la dottrina, la doxa e il materiale da insegnare erano, spesso,  considerati pericolosi per essere trasmessi, solo una manciata di eletti, di iniziati poteva ricevere il vero intendimento del maestro. Delle figure esemplari dell'antichità classica  come Eraclito, Pitagora, Parmenide, Socrate… poco si conosce dei loro  metodi di insegnamento,  pervenuti, nella migliore delle ipotesi,  in frammenti o attraverso le citazioni, forse, imprecise o critiche come quelle di Platone, di Aristotele. Steiner, in particolare, appunta l'attenzione su Gesù e Socrate, due Maestri, che pur non avendo lasciato nessuna parola scritta, hanno fondato la tradizione occidentale, sono il cardine della nostra civiltà. I racconti della passione generano l'intimo alfabeto, il codice di gran parte del nostro idioma morale, filosofico e teologico. Hanno istillato nella coscienza occidentale sia una tristezza irrimediabile sia una febbre di speranza. Il rapporto tra Socrate e Gesù è individuato nell'insegnamento, nella relazione tra maestro e discepolo, ad Atene e in Galilea e a Gerusalemme. Il pedagogo itinerante e il dialettico virtuoso sono dotati della capacità del genio, l'uno di articolare l'insegnamento attraverso i miti, l'altro di ideare parabole. Queste due modalità di doxa condivise provocano molteplicità e potenzialità di interpretazioni infinite. Tengono lo spirito umano in uno stato di squilibrio. Eludono la nostra comprensione quando sembra che ne abbiamo afferrato il significato. É questo il modello dell'aletheia heideggeriana, di una verità che si nasconde nello stesso processo di svelamento. I miti narrati da Platone, le parabole offerte da Gesù incarnano ciò che vi è di decisivo e di inspiegabile nell'attività dei maestri, nell'arte dell'insegnamento, investita come da un'aura di sacralità.  

La lezione del maestro in origine è stata quella del sacerdote, nella filosofia presocratica e classica questa modulazione fu quasi impercettibile. Il magisterium medievale e rinascimentale fu quello del dottore in legge, con Tommaso d'Aquino o San Bonaventura. Il retaggio teologico s'indebolì, ma le sue convenzioni rimasero forti, sottoscritte da una deferenza indiscussa. Riverire  il proprio maestro,

rispondeva al codice naturale del rapporto. Qualora reverenza e deferenza si affievoliscono restano il rispetto, l'ammirazione.

Quella attuale è l'età dell'irriverenza. Le cause di questa profonda trasformazione sono dovute a  rivoluzioni politiche, sommosse sociali e allo scetticismo che le scienze portano con sé. L'ammirazione è passata di moda, siamo abituati ad un livellamento verso il basso. La nota prevalente è quella dell'impertinenza provocatoria.

Secondo Steiner non esiste una professione di maggiore privilegio, risvegliare in un altro essere umano forze e sogni superiori alle proprie, al suo approdo alla parte migliore di sé. Anche a un livello modesto, come quello di maestro di scuola, insegnare, e insegnare  bene ha possibilità trascendenti., Insegnare seriamente è toccare ciò che vi è di più vitale in un essere umano. Il magistero è fallibile,  una pedagogia di routine, scadente è rovinosa, distrugge le speranze alle radici, immiserisce lo studente, riduce a grigia inanità la materia insegnata, insinuando il più corrosivo degli acidi,  noia. 

Nessun mezzo meccanico, tuttavia, per quanto rapido,  può cancellare il nuovo giorno che viviamo quando abbiamo compreso un maestro. Una società, come quella basata sul profitto sfrenato, che non fa onore ai propri insegnanti, è difettosa.

Non c'è  tempo per un'altra lezione? 

L'assunto centrale di questo saggio è la relazione tra docente e studente come il centro della trasmissione del sapere. In uno stile appassionato e convincente, Steiner rende omaggio ad una professione in qualche misura di per sé opaca, ma contiene ogni sfumatura possibile tra gli estremi di una vita di routine, disincantata, e un esaltato senso di vocazione.

                 

George Steiner (Parigi, 1929) è figura di primo piano nella cultura occidentale. É Fellow del Churchill College a Cambrige ed è stato docente in numerose università americane ed europee, tra cui Princeton, Stanford, Chicago, Oxford e Ginevra. Tra i suoi libri Garzanti ha catalogo Tolstoj o Dostoevskij 1959, Morte della tragedia 1961, Dopo Babele 1975 e 1992, Antigoni 1984, Vere presenze 1986, il romanzo breve Il correttore 1992, Nessuna passione spenta 1996, l'autobiografia Errata 1997, Linguaggio e silenzio, nuova edizione 2001, Heidegger 2002 e Grammatiche della creazione 2003.

 

 

Arcangela Cammalleri

 

 
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