Il gattopardo di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Feltrinelli
(Nuova edizione riveduta)
RITROVATO IL SAPORE ANTICO
NEL CAPOLAVORO DI GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA
Non finirà mai di essere un "caso" letterario - "Il
Gattopardo" - quel capolavoro di rara bellezza uscito dalla penna di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ora nuovamente pubblicato,
per i tipi della Feltrinelli, a cura di Gioacchino Lanza Tomasi che si è
riproposto, con esito felice, con la sua "nuova edizione riveduta"
basata sul manoscritto del 1957, di ridare forma alla punteggiatura originale,
non accontentandosi però di precisazioni ortografiche, poiché - l'intento del
curatore - ci appare essere soprattutto quello di ricreare il clima d'antan,
quel sapore di passato caro al cuore e alla penna dell'autore.
Con amorevole puntiglio, nella sua colta prefazione, Lanza Tomasi ripercorre il
travagliato iter letterario di una pubblicazione postuma che ha visto
ostruzionismo, incomprensione nella terra d'origine dello scrittore e grande
accoglienza da parte di Giorgio Bassani che ne ha capito d'acchito la
grandezza, dimostrandosi lontano dai livori e dalle invidie che brulicano più
che mai nefaste nel mondo delle lettere nostrane. Anche se,
non solo di invidie si dovrebbe parlare nei confronti della pubblicazione di
questo romanzo, ma anche e soprattutto di piccole vigliaccherie, mancanze di
coraggioso giudizio ("Se Vittoriani - scrive Lanza - era un letterato in
grado di riconoscere un avversario degno di considerazione, sosteneva anche di
non essere l'uomo fatto per proteggerlo. Eppure non osteggiò
radicalmente "Il Gattopardo"…).
"Il romanzo apparve nell'autunno del 1958 - scrive Lanza
- a cura di Giorgio Bassani e la correttezza dell'edizione non venne messa in
dubbio fino al 1968, quando Carlo Muscetta annunziò di aver riscontrato
centinaia di divergenze, anche cospicue, fra il manoscritto e il resto stampato.
Si pose allora un problema concernente tanto l'autenticità dell'edizione
Bassani, quanto l'autorità delle diverse fonti. La questione era già stata
sollevata da Francesco Orlando nel suo "Ricordo di Lampedusa"".
Il curatore propone alla nostra attenzione le tre stesure dell'opera,
arricchendo la nostra conoscenza con i suoi ricordi personali di testimone
oculare ("saranno ventiquattr'ore della vita di mio
bisnonno il giorno dello sbarco di Garibaldi" - gli aveva
preannunciato lo scrittore -; aggiungendo , dopo qualche tempo: "non so
fare l'"Ulysses"…), regalandoci flash dell'"ansia di comunicazione"
che aveva assalito Tomasi di Lampedusa, prodigo nel metterci a parte delle
"annotazioni private che rivelano il dispiegarsi degli affanni e degli
affetti".
Il curatore della nuova edizione persino riesce, fra le altre emozioni che sa
procurarci, a renderci partecipi della "inflessione emotiva" della
voce e del modo di essere dell'autore quando gli narra, lo fa essere partecipe,
lo porta dentro le pieghe più intime della pagina gattopardesca.
"Sconfino così nell'interpretazione psicologica delle varianti - scrive
ancora Lanza Tomasi - e, in effetti, vista la mia incapacità a trovare una
reale differenza letteraria fra i due testi, colgo nel
loro raffronto l'occasione per un ultimo dialogo con Lampedusa per far rivivere
l'uomo attraverso le varianti. Spesso la sola grafia lo tradisce. Anche se la
grafia maiuscola o minuscola dei titoli personali non è rigorosamente unificata
e la presente edizione rispetta le incongruenze del manoscritto, la preferenza
per l'una o per l'altra forma rispecchia, potrei dire, se non altro
affettivamente, le gerarchie sociali. Abbiamo "Don Fabrizio", ma
"don Calogero"…"
"Possa questa nuova edizione - conclude il curatore -, arricchita con due
materiali per il romanzo rimasti espunti tanto dal dattiloscritto che dal
manoscritto, restituire al lettore l'uomo Lampedusa ancor più vivo ed un'opera
letteraria appena ruvida, assieme al timbro del conversatore ineguagliabile che
ho avuto la fortuna di incontrare nella mia adolescenza, quel timbro che la
patina editoriale apportata da Bassani aveva appena velato".
Al di là delle sottigliezze, varianti, precisazioni, sottolineature, sortite
dal commento di Lanza, soprattutto ci sembra rilevante l'aver regalato al
lettore un profilo più vero ed umanamente intenso del palermitano Giuseppe Tomasi,
duca di Palma e principe di Lampedusa (1896-1957) che, com'è noto, non potè
vedere la pubblicazione della sua opera, rifiutata da molti editori, ma che -
al suo apparire - fu subito riconosciuta come uno dei più grandi romanzi di
tutti i tempi.
Grazia Giordani
www.graziagiordani.it