I morti salgono a galla come gnocchi in pentola
"La
Stampa - Tuttolibri" 30 ottobre 2010
Un libro bellissimo sotto un titolo orrendo. Il titolo è uno
choc, e quando arrivi a trovare da dove nasce (pag. 287) lo choc si raddoppia: nasce
da una scenetta minima, il prete che ammazza un topo, “T'ho preso, bastardo!”,
e aggiunge: “Non tutti i bastardi sono di Vienna”. A parte il topo,
tutti gli altri sono austriaci. Cioè dell'impero austro-ungarico. Il centro
dell'azione è sul Piave, e il tempo è quello fra Caporetto e Vittorio Veneto.
Ma dire Piave è impreciso: per l'esattezza, tutto s'incentra in una villa a
Refrontolo, pochi passi al di là del fiume. Luogo di delizie in pace, punto
strategico in guerra. Noi sappiamo molto di quel che avveniva di qua dal Piave,
sappiamo poco di quel che avveniva al di là, dov'era insediato il nemico. Come
arrivava, come requisiva le case, come stuprava, come impiccava, le sue cene di
gala, la sua educazione, l'etichetta, il codice, la disciplina, che includeva
il baciamano e la
fucilazione. Nella grande villa, dove stanno i padroni e la
servitù, ma dove alloggiano a turno comandi austriaci e comandi tedeschi fino
agli altissimi vertici, i condottieri supremi, scorre la vita di pace, passioni-intrighi-educazioni-amori-vecchiaia, e la vita di
guerra, con il rombo dei piccoli e grossi calibri, il cortile invaso dai
reparti in attacco, poi dai reparti in fuga, massacrati dalle nostre cannonate.
Il protagonista Paolo compie 17 anni, innamorandosi dell'enigmatica Giulia,
collaborando con quelli che oggi diremmo partigiani, uccidendo e venendo
ucciso. Il racconto è in prima persona, Paolo ci dice tutto, proseguendo oltre
la propria fucilazione, e la sua fucilazione è il momento di massima coerenza
sua e del suo nemico. A condannarlo è il barone von Feilitzsch, perfetto nei
gesti e nelle parole, rispettoso della padrona di casa, ma
inflessibile nel volere la morte del padroncino, che ha nascosto un pilota
inglese e ha sparato su soldati austriaci. Nel barone la vista dei suoi soldati
morti, che salgono in superficie dal ribollire del Piave come “gnocchi dalla
pentola”, spegne la pietà, non può perdonare: “Io… io, madame… ho visto i miei
soldati venire su da quel fiume, venivano su dall'acqua, come i vostri gnocchi
di patate nel tegame, mi capite, madame? Gnocchi nell'acqua che bolle”. Rudolf,
si chiama il barone. E “Rudolf” lo chiama la zia Maria, chiedendo la
grazia per Paolo, arrivando a confessare “voi non mi siete indifferente”: è il
momento in cui il sentimento fa il massimo sforzo per prevalere sulla guerra,
ma la conclusione dell'incontro (lui: “Non posso”, lei: “Che Dio vi maledica,
Rudolf”) fissa la supremazia della morale militare. La morale militare
vince su tutto: sull'etichetta dei pranzi, sull'amore Paolo-Giulia,
l'avventurismo romantico del pilota inglese Brian, la smania scrittoria del
nonno… È dunque un romanzo di guerra? I ritratti dei comandanti supremi
scolpiscono la storia dei condottieri sulla loro faccia (specialmente di von
Below, lo stratega vincitore di Caporetto), ma sono lampi, splendono e
spariscono. No, non è un romanzo militare. Forse d'amore? Ma l'amore non domina
e non emerge, è dominato e sepolto, sempre. È un quadro descrittivo di un
luogo-tempo: Piave, 9 novembre '17-30 ottobre '18, con tutto
ciò che in quel luogo-tempo si raduna. Un libro che si scava un posto
nel cervello. Ma che sofferenza, tenerlo legato a quel titolo!
Andrea Molesini, Non
tutti i bastardi sono di Vienna, Sellerio 2010, pagg. 366, euro14,00
Ferdinando Camon
www.ferdinandocamon.it