Grimus
di Salman Rushdie
Mondadori Editore
Narrativa
Collana Scrittori italiani e stranieri
Pagg. 338
ISBN 9788804524595
Prezzo € 18,00
Il primo lavoro di Salman Rushdie non
delude le aspettative dei lettori più esigenti
“Ero Joe-Sue, indiano
axona, orfano, segnato alla nascita da un nome ambiguo perché il mio sesso era
rimasto incerto fino a qualche tempo dopo, vergine, fratello minore di una
femmina selvaggia che si chiamava Cane da Penna e aveva una paura matta di
perdere la propria bellezza: cosa ironica, perché non era bella. Era anche il mio ventunesimo compleanno, e stavo
per diventare Aquila Svolazzante. E per smettere di essere qualche altra
persona.” (da “Grimus” – di Salman Rushdie)
Salman Rushdie è nato
a Bombay nel 1947 e si è trasferito a Londra quando aveva appena quattordici
anni. Per anni, dopo la pubblicazione de “I versi satanici”, opera mirabile di
fantasia, filosofia e religione, l'autore è stato un “fuggitivo” nel vero senso della parola;
e se oggi ha ancora la testa attaccata al corpo, può ben dirsi fortunato perché
in suo favore si sono mobilitati alcuni fra i più eminenti intellettuali. Per
la cronaca, Bono Vox, si è adoperato non poco per aiutare Rushdie; il testo
della bellissima canzone “The Ground
Beneath Her Feet”, colonna sonora del film “The Million Dollar Hotel” di Wim
Wenders, è stata scritta da Salman Rushdie. Un regalo d'amicizia al leader
degli U2?
Salman Rushdie,
autore di grandissimi romanzi ricchi di fantasia e genuina spregiudicatezza
investigativa intorno al panorama uomo, è forse il più grande scrittore
contemporaneo vivente, un moderno Shakespeare che ha regalato alla nostra
cultura romanzi importanti come “I figli
della mezzanotte”, “La
vergogna”, “I versi satanici”,
“Harun e il mar delle storie”,
“L'ultimo sospiro del Moro”,
“Est Ovest”, “La terra sotto i suoi piedi”, “Il sorriso del giaguaro”, “Patrie immaginarie”, “Fury”.
Rushdie ci dice che l'uomo è vittima delle furie che si agitano nell'anima, e
che l'anima è costretta a seguire la loro volontà (o quella degli dèi, se si
preferisce) per tentare di scoprire l'identità che appartiene all'uomo. I
personaggi di Rushdie si interrogano come Amleto. Non credo sia errore definire
Salman Rushdie moderno Shakespeare. La fantasia di Rushdie è arte e virtuosismo
allo stesso tempo, fantasia e dissacrazione dei common places: essere o non
essere? I personaggi di Rushdie non possono fare a meno di essere amletici
nelle loro scelte, nei loro comportamenti, e il mondo che gli ruota attorno è
amletico pure esso. In “Fury”,
l'autore disegna la lotta per la sopravvivenza in un mondo scevro di valori, ma
anche l'uomo inteso come oggetto soggetto a una società solo virtualmente
civile: la religione diventa filosofia e viceversa e poi si fa passare per
necessaria politica, in definitiva una impossibile
ricerca di una identità reale in un mondo di simulacri (bambole). Le furie
agitano l'animo umano e tutti ne sono vittime (in)consapevoli.
Volenti o nolenti, è dovere intellettuale riconoscere a Salman Rushdie di
essere “eclettico” quanto
Shakespeare, ma anche, moresco, lisergico, filosofico e ambiguo in una
declinazione tutta intellettuale. A guardarlo bene in faccia, be', non lo si
può dire uomo affascinante o confortante: la genialità è in quel suo volto
severo, quasi ebreo, dal naso aquilino, poi gli occhialini rotondi e la barba
grigia completano la sua immagine. Ha sicuramente un debito di riconoscenza non
indifferente nei confronti di tanti intellettuali e uomini di spettacolo; ciò
non toglie che ogni sua storia ci scaraventa in un universo bastardo,
tragicamente remoto e reale, magicamente reale e allo stesso tempo irreale.
Dopo “I versi satanici”,
Rushdie ha avuto non pochi guai, e usando le sue stesse parole parodiate si
potrebbe dire che si attirò le “furie” addosso, e queste hanno tenuto duro
veramente, ma il capo dal busto non sono riuscite a spiccarglielo. Forse
qualcuno ricorda “The Ground Beneath Her
Feet”, la colonna sonora a “The
Million Dollar Hotel” di Wim Wenders: bene, il testo della canzone,
l'ha scritto quel geniaccio di Rushdie, rivelandosi anche ottimo paroliere o
poeta che dir si voglia. (Per i curiosi che poco
masticano l'inglese, il testo tradotto de “La terra sotto i suoi piedi” di
Rushdie è riportato in fondo a questa recensione.)
Scrive lo stesso Salman Rushdie
a proposito di Grimus: “mi era stato rifiutato un romanzo, ne avevo
abbandonati altri due e pubblicato uno, intitolato Grimus, che fu (a voler
essere generosi) un vero fiasco.” Accade a molti che un romanzo sia
un fiasco, soprattutto quando si è agli esordi, poi, stranamente, per le leggi
del mercato editoriale ma anche per quelle della fama, se si riesce a diventar
famosi, quello che era un fiasco diventa un capolavoro, o nel migliore dei casi
un romanzo da riscoprire che era stato sottovalutato. Purtroppo, il più delle
volte, rilanciare sul mercato il primo lavoro di uno scrittore coincide con un
quasi suicidio operato e concertato (forse inconsapevolmente) dall'autore. Per
nostra fortuna, Grimus non è una bieca operazione commerciale o di rilancio
dell'autore più maledetto e dandy di questi ultimi
decenni: da questo romanzo, Signori, aspettatevi un Rushdie furioso,
ottimamente in forma, capace di tradurvi all'interno di mondi paralleli, ma
anche in mille vortici di incastri filosofici che si risolvono non tramite
risposte, bensì tramite altri quesiti sempre insoluti. Ci troviamo di fronte ad
opera che garantisce tutta la profondità del Michele Mari più “maturo”, quello di “Tutto il
ferro della torre Eiffel”; Salman Rushdie non ci
offre soluzioni, solo labirinti da scoprire nel vano tentativo di trovare una uscita. Ma anche quando fossimo fuori dal Dedalo, questo
si ricompone e smonta tutte le nostre certezze.
Rushdie gioca i miti e le leggende di diverse culture, rielaborando, con
assoluta originalità profondamente dickiana, alcuni elementi tipici della
science-fiction. Grimus
è composito da universi che cadono a pezzi in declinazione dickiana, ma anche
dal sogno mitizzato dell'immortalità in chiave umoristica, il cui sapore ci
ricorda “I figli di Matusalemme”
di Robert A. Heinlein. E il gioco filosofico che è Grimus si complica
ulteriormente quando Rushdie inserisce visioni lisergiche à la Aldous
Huxley per poi deformarle in un tributo tribale, che ci
traduce nella crudeltà antropologica senza speranza d'un regno che pare
appartenere a “Il signore delle mosche” di William Golding. Grimus, lo si
potrebbe definire un “fantasy futuristico”, ma sarebbe ingiusto, perché il
gioco che opera l'autore è di ben altro spessore: sfrutta sì alcuni stereotipi
della letteratura di “genere”, ma li trascende in originalità shakespeariana.
Il protagonista di questo romanzo è un giovane indiano appartenente alla
fittizia tribù degli Axona: ha una sorella più grande che lo svergina e lo
inizia all'amore, ma è misteriosa, non a caso il suo nome è Cane da Penna. Un
giorno qualsiasi, la sorella di Aquila Svolazzante incontra un tipo strano che
le fa dono di due fiale: una di esse concede il dono dell'immortalità. Aquila
Svolazzante si decide, dopo non poche scaramucce con la sorella, a ingollare la
fiala dell'immortalità, ma presto la vita eterna comincia a diventargli motivo
di disgusto. Per settecento anni naviga, si perde tra le genti del mondo, cerca
qualcosa da imparare, fa sue molte conoscenze, ma la conoscenza non è maturità,
e Aquila Svolazzante lo capisce nel momento in cui il mondo perde ogni
significato ai suoi occhi. L'unica maniera per trovare una giustificazione alla
sua vita troppo lunga è di recarsi presso la montagnosa Calf Island,
dove, forse, potrà tornare ad essere un uomo mortale. Peccato che ad ostacolarlo ci sia Grimus, una entità intelligente,
aliena, astratta, che farà penare non poco Aquila Svolazzante. Ma chi è in realtà Grimus? Uno
spirito, o piuttosto un'idea? Forse un gioco partorito dalla mente, ma di chi o
di che cosa? Non si sa, ma certo è che Grimus comanda il destino di tutti.
Grimus è opera che parla di ibridazione, sradicamento, esilio, in pratica
dell'uomo e del Centro dell'Universo, che si presume debba esistere da qualche
parte ma non si è certi, non si è certi di niente nell'Universo-puzzle senza
Centro che Salman Rushdie
disegna con dissacratoria intelligenza.
Giuseppe Iannozzi
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