Che la festa cominci, di
Niccolò Ammaniti - Edizioni Einaudi
È tragica la comicità di Ammaniti in
una delle sue ultime fatiche “Che la festa cominci”, amara e ampollosa nella
costruzione di spauriti personaggi grotteschi, caricaturali, specchio di
un'Italia lentamente alla deriva. Sono figure ridondanti, sature di leggerezza,
pieni di vizi e di cinismo. Vivono una vita cupa e un po' demenziale, con il
vuoto che si impossessa della loro anima e li spoglia di ogni ragione. E' una
memoria del sottosuolo di una Roma in agrodolce, una Roma trash che non riesce
più a stupire ma si ritira in sogni sconclusionati e amorfi, senza sostanza,
senza più vie d'uscita. Due storie che come un fiume convergono in un sola, una folla di umanità tragicomica, iper realistica e
sopra le righe, cieca come il nostro bel paese che non sa vedere il precipizio
che ogni giorno gli si para di fronte e lo sfiora da vicino. C'è un'indulgenza rassegnata nel
guardare la vita, una debolezza che si riflette nello specchio di chi guarda,
una manchevolezza caricaturale di un paese e di una società che sta affondando.
Si svelano le nudità del peggio, si confonde la fantasia col reale, in un
bailamme di gente protagonista di una macabra danza di vita. Ma nonostante
tutto si scoprirà che il tenero non può uccidere, l'infelice sarà sempre senza
via di scampo, l'amore si consumerà solo per poterci salvare, e alla fine sarà
solo la solitudine a fare da regina.
E' un romanzo apocalittico, la metafora
della nostra povera Italia senza più senso dell'etica, del nostro paese che
seppellisce ogni barlume di morale e si ciba solo di feste dissacranti , di rotocalchi patinati, di trasmissioni subdole e
inconcludenti. Una nazione sgangherata come la setta satanica di cui Saverio è
a capo.
Una festa che segue il suo corso,
segnando il destino per tutti in una totale anarchia letteraria ben riuscita,un lungo doloroso viaggio, in una storia che si consuma
senza poterci salvare.
Tiziana
Monari