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  Letteratura  »  Un anno sull'Altipiano, di Emilio Lussu, edito da Einaudi e recensito da Ferdinando Camon 28/05/2011
 

Libri che hanno fatto l'Italia: "Un anno sull'Altipiano" di Emilio Lussu

"La Stampa - Tuttolibri" 31 ottobre 2009


Tra i libri che raccontano o spiegano la nascita dell'Italia unita, un primissimo posto, se non il primo in assoluto, spetta a Un anno sull'Altipiano di Emilio Lussu. Libro epico-tragico, al limite del sostenibile. Un racconto sull'eroismo dei soldati e la disumana incomprensione dei comandanti. Intendo gli ufficiali superiori, dai generali al generalissimo. L'altopiano è quello di Asiago, a un'ora da casa mia. Ci vado ogni volta che posso. E osservo i teatri delle battaglie descritte da Lussu. Assurdi. Invece di guidare i nostri soldati giù per la discesa e su per la salita contro le mitragliatrici, a morire tutti, tanto valeva schierarli in fila e passargli alle spalle sparando a ciascuno un colpo alla nuca. La guida che m'accompagna sulle trincee mi mostra che sul punto dove dalle nostre caverne si sbocca all'aperto c'è una roccetta. Su quella roccetta un ufficiale subalterno, un tenente, doveva salire per orientare la truppa all'assalto, nel buio che precede l'alba. Su quella roccetta era puntata l'arma di un cecchino austriaco. L'ufficiale italiano saliva e cadeva fulminato. Un altro saliva e subito cadeva. E così via. Tocco con la mano quella roccetta, e penso, poiché fui tenente degli alpini: "Io sarei morto qui". Se l'eroismo è un merito, quella roccia è un punto glorioso. Se sprecare gli ufficiali è una colpa, quello è un punto ignominioso. L'Italia fu costruita così, ammucchiando eroismi e ignominie. Nel libro di Lussu, questa ammucchiata di grandezze e insensatezze è alta come una montagna. Il potere del superiore sull'inferiore è un potere di vita e di morte, anche senza che in palio ci sia una posta qualsiasi. Lussu si divincola, lui ufficiale del grado più basso, tenente (ma finirà per comandare una compagnia, poi un battaglione, poi due battaglioni: quando l'ufficiale superiore muore, l'inferiore sale al suo posto), tra fare la guerra (la difende, la sostiene) ma non farla così. Così come? Con gli assalti che non hanno la minima possibilità di riuscita. Sono suicidî di massa. Si salta fuori dalla trincea e si corre verso il nemico sapendo che al primo passo cadrai, o al secondo, non farai il terzo. Il clou della follia di questo modo di "fare l'Italia" è quando un ufficiale nemico, dritto sulle sue trincee, si mette a gridare: "Ma basta, soldati italiani, non fatevi ammazzare così!". Andavamo a un massacro tanto insensato che i nemici avevano pietà della nostra stoltezza. Ma stoltezza era anche nelle loro tecniche d'attacco: all'inizio del libro, c'è un assalto degli austriaci contro di noi: prima si sentono le zaffate di cognac (i soldati, di una parte e dell'altra, vengono ubriacati), poi avanzano gli austro-bosniaci-ungheresi, ma attenzione: vengono avanti a ranghi serrati, fucile a tracolla, urlando "Hurrà!". Le prime file cadono, le seconde le scavalcano. Quando il terreno è coperto di cadaveri, gli austro-bosniaci-ungheresi fanno dietro-front. Ma sempre al passo, col fucile a tracolla. Avevano martellato con l'artiglieria per ore, credevano che i nostri fossero tutti morti, venivano a calpestare i cadaveri. Lussu dice che chi ha visto quella scena, la rivedrà in punto di morte: i nemici vengono a morirti addosso a migliaia, urlando. Quell'urlo avanzante dei morituri ubriachi è una sassata sul tuo cervello, ti sconvolge. Un soldato italiano scappa, urlando a sua volta "Hurrà". È la sindrome di Stoccolma al cubo. Scappa gridando il grido del nemico, come se lui fosse il nemico e, scappando indietro, avanzasse. Sull'altopiano Lussu cita sardi, veneti, piemontesi, siciliani, emiliani… Tra l'inizio e la fine dell'anno non si guadagna un metro. Pare che il massacro non sia fatto per guadagnare metri, ma per una sfida metafisica. Il generale che monta sulla pietra per osservare il nemico, che su quella pietra tiene puntato un cecchino, non è uno stratega, vuol soltanto conquistare l'autorità per ordinare a un caporale di ripetere il gesto: il caporale monta, vien centrato in fronte, cade riverso, il generale lo saluta militarmente e lo chiama "eroe". Parola importantissima. Parola-chiave. "Eroe" non è chi muore per liberare la patria, ma chi accetta di morire per affermare col suo sacrificio il potere di morte del suo comandante. I tenenti colleghi di Lussu ripetono: "Siamo comandati da austriaci". Quell'anno sull'altipiano viene prima di Caporetto, non contiene Caporetto, ma contiene due-tre preannunci, cioè compagnie che si ribellano. La rivolta vien punita con la decimazione, ma nell'ultima decimazione il plotone d'esecuzione si volta indietro e spara sul maggiore. Il prezzo della guerra per fare l'Italia vien pagato tutto in basso, in alto non si paga niente. In alto non si sa niente. Solo un tenente poteva scrivere un libro così. Non un maggiore, un colonnello, un generale. È la storia di come è stata fatta l'Italia, raccontata dal basso, da chi l'ha fatta. Ferreo documento storico. Terribile atto d'accusa. Mai raccolto da nessun tribunale.
 

 
Emilio Lussu,
Un anno sull'Altipiano, Einaudi, prima edizione 1945, ultima 2005, pagg. 214, euro 8,40

 

Ferdinando Camon

 

 

www.ferdinandocamon.it

 

 

 

 

 
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