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  Letteratura  »  Il padrone, di Goffredo Parise, edito da Adelphi e recensito da Ferdinando Camon 21/06/2011
 

Il padrone ci tratta come cose

di Ferdinando Camon

 

"La Stampa -Tuttolibri " 18 giugno 2011

 


 

 
Leggo il libro e seguo un'agenzia che lancia notizie ogni pochi minuti. Notizia: “Padre dimentica il figlioletto in auto sotto il sole”. Libro, pagina 87: “I miei sentimenti sono svaniti per lasciare posto alla realtà che è prima di tutto la ditta, mi chiedo cosa farei senza un padrone che mi usa come fossi un bicchiere, una automobile, una sedia, un letto”. Un dipendente è una cosa. Programmato per un lavoro e basta. Più sa il suo lavoro, meno sa il resto. Il padre che dimentica il figlioletto in auto è, con ogni probabilità, un eccellente lavoratore. Gli incidenti dei figlioletti dimenticati sotto il sole oggi li spiega questo libro di Goffredo Parise, ristampato adesso da Adelphi, uscito in prima edizione 46 anni fa da Feltrinelli. Dunque il libro dura, anche oggi “è vero”. Allora la civiltà naturale moriva, la civiltà industriale diventava tutto, e nel passaggio da quella a questa veniva ingoiato tutto, uomo, famiglia, generazioni, genitori-figli, amore-sesso, religione-chiesa, lavoro-giustizia. Non è un transito verso il dolore, ma verso la pazzia. Lo stadio finale del dipendente non è la sofferenza, ma la pazzia. Arriva nella grande azienda un “uomo”, porta con sé i progetti e le speranze della civiltà che sta per morire, e che lo collegano ai genitori e alla fidanzata. Alla fine del romanzo è una “cosa”, paragona se stesso (e il figlio che avrà) ad un barattolo, perfetta condizione priva di cervello e di nervi: la felicità dei giocattoli sta nella felicità di chi ci gioca. Al di sopra del padrone sta un altro padrone, il padre del padrone, e su tutti il Padreterno. Il padrone introduce nell'azienda la radio, per diffondere musiche. Adesso sono canzonette americane. Ma è uno stadio imperfetto dello sviluppo. Domani saranno musiche sacre. Il lavoratore deve trovare nel lavoro la sua religione, nell'azienda la sua chiesa, e nel padrone il suo dio. Pare un libro statico, ma non è vero: non va avanti ma va in basso, precipita, il suo viaggio è quello del palombaro, l'immersione. Negli stadi profondi dell'uomo-che-è trova l'uomo-che-sarà, l'uomo-cosa. L'uomo-cosa è una protesi, i dipendenti-modello sono perfette protesi del padrone, non hanno orario né ufficio né contratto né stipendio né mansione, lo stipendio può essere decurtato del 20 o del 30 o del 50 per cento, senza che nessuno sia in grado di fornire spiegazioni, il dipendente modello è colui che non cerca spiegazioni, conscio che una spiegazione c'è anche se nessuno la sa. È la dottrina teologica sul dolore degli innocenti. Il protagonista viene assunto in un ufficio che non c'è, lo si ricava dal gabinetto del padrone, così il neo-assunto potrà essere confuso col wc. Il padrone si fa iniezioni di vitamine, le offre al suo dipendente, sarebbe immorale rifiutarle, un oltraggio all'ordine. Quando la madre del padrone propone-impone al dipendente di sposare una bambina ritardata, si capisce che padrone e padrona vorrebbero dal dipendente una discendenza di ritardati-obbedienti, perfette cose inanimate e docili, e gli fan capire che sarebbe immorale rifiutare: l'ordine è questo, starne fuori è essere un elemento di disordine, un errore umano. A metà romanzo il protagonista teme di aspirare ormai alla morte, ma non è quella la conclusione, la conclusione è l'ultima pagina, quando si rende conto di offrire non se stesso, ma la propria stirpe: “Col mio matrimonio il dottor Max si è molto placato in quanto vede nella mia famiglia il prototipo della famiglia ideale che intende creare in futuro: il capolavoro della proprietà assoluta”. L'uomo-cosa sarà del padrone in ogni momento, non esisterà per sé. Quando è col padrone, è del padrone. Quando non è col padrone, è in funzione del padrone. È stato il lungo e difficile transito che ha segnato la morte del mondo naturale, evento che introduce la storia in cui viviamo. Ottiero Ottieri ha raccontato come avveniva lo scontro, Paolo Volponi ha fatto un salto indietro, rimpiangendo il mondo naturale perduto, Goffredo Parise fa un salto avanti, nel cuore del mondo che viene: e dentro ci vede la pazzia. Fra i tre, è il più moderno.
 

 
Goffredo Parise,
Il padrone, Adelphi ed., 2011, pagg. 270, euro 19,00

 

www.ferdinandocamon.it

 

 
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