Il padrone ci tratta
come cose
di Ferdinando Camon
"La Stampa -Tuttolibri " 18 giugno 2011
Leggo il libro
e seguo un'agenzia che lancia notizie ogni pochi minuti. Notizia: “Padre
dimentica il figlioletto in auto sotto il sole”. Libro, pagina 87: “I miei
sentimenti sono svaniti per lasciare posto alla realtà che è prima di tutto la
ditta, mi chiedo cosa farei senza un padrone che mi usa come fossi un
bicchiere, una automobile, una sedia, un letto”. Un
dipendente è una cosa. Programmato per un lavoro e basta. Più sa il suo lavoro,
meno sa il resto. Il padre che dimentica il figlioletto in auto è, con ogni
probabilità, un eccellente lavoratore. Gli incidenti dei figlioletti
dimenticati sotto il sole oggi li spiega questo libro di Goffredo Parise,
ristampato adesso da Adelphi, uscito in prima edizione 46 anni fa da
Feltrinelli. Dunque il libro
dura, anche oggi “è vero”. Allora la civiltà naturale moriva, la civiltà
industriale diventava tutto, e nel passaggio da quella a questa veniva ingoiato
tutto, uomo, famiglia, generazioni, genitori-figli, amore-sesso,
religione-chiesa, lavoro-giustizia. Non è un transito verso il dolore, ma verso
la pazzia. Lo
stadio finale del dipendente non è la sofferenza, ma la pazzia. Arriva
nella grande azienda un “uomo”, porta con sé i progetti e le speranze della
civiltà che sta per morire, e che lo collegano ai genitori e alla fidanzata.
Alla fine del romanzo è una “cosa”, paragona se stesso (e il figlio che avrà)
ad un barattolo, perfetta condizione priva di cervello e di nervi: la felicità
dei giocattoli sta nella felicità di chi ci gioca. Al di sopra del padrone sta
un altro padrone, il padre del padrone, e su tutti il Padreterno. Il padrone
introduce nell'azienda la radio, per diffondere musiche. Adesso sono canzonette
americane. Ma è uno stadio imperfetto dello sviluppo. Domani saranno musiche
sacre. Il lavoratore deve trovare nel lavoro la sua religione, nell'azienda la
sua chiesa, e nel padrone il suo dio. Pare un libro statico, ma non è vero: non
va avanti ma va in basso, precipita, il suo viaggio è quello del palombaro,
l'immersione. Negli stadi profondi dell'uomo-che-è
trova l'uomo-che-sarà, l'uomo-cosa. L'uomo-cosa è una protesi, i
dipendenti-modello sono perfette protesi del padrone, non hanno orario né
ufficio né contratto né stipendio né mansione, lo stipendio può essere
decurtato del 20 o del 30 o del 50 per cento, senza che nessuno sia in grado di
fornire spiegazioni, il dipendente modello è colui che non cerca spiegazioni,
conscio che una spiegazione c'è anche se nessuno la
sa. È la dottrina teologica sul dolore degli innocenti. Il protagonista viene
assunto in un ufficio che non c'è, lo si ricava dal gabinetto del padrone, così
il neo-assunto potrà essere confuso col wc. Il padrone si fa iniezioni di
vitamine, le offre al suo dipendente, sarebbe immorale rifiutarle, un oltraggio
all'ordine. Quando la madre del padrone propone-impone al dipendente di sposare
una bambina ritardata, si capisce che padrone e padrona vorrebbero dal
dipendente una discendenza di ritardati-obbedienti, perfette cose inanimate e
docili, e gli fan capire che sarebbe immorale
rifiutare: l'ordine è questo, starne fuori è essere un elemento di disordine,
un errore umano. A metà romanzo il protagonista teme di
aspirare ormai alla morte, ma non è quella la conclusione, la conclusione è
l'ultima pagina, quando si rende conto di offrire non se stesso, ma la propria
stirpe: “Col mio matrimonio il dottor Max si è molto placato in quanto vede nella
mia famiglia il prototipo della famiglia ideale che intende creare in futuro:
il capolavoro della proprietà assoluta”. L'uomo-cosa sarà del padrone in
ogni momento, non esisterà per sé. Quando è col padrone, è del padrone. Quando
non è col padrone, è in funzione del padrone. È stato il lungo e difficile
transito che ha segnato la morte del mondo naturale, evento che introduce la
storia in cui viviamo. Ottiero Ottieri ha raccontato come avveniva lo scontro,
Paolo Volponi ha fatto un salto indietro, rimpiangendo il mondo naturale
perduto, Goffredo Parise fa un salto avanti, nel cuore del mondo che viene: e
dentro ci vede la pazzia.
Fra i tre, è il più moderno.
Goffredo Parise, Il
padrone, Adelphi
ed., 2011, pagg. 270, euro 19,00
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