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  Letteratura  »  Le primavere di Vesna, di Ida Verrei, edito Libreria Croce e recensito da Adriana Pedicini 01/09/2011
 

Le primavere di Vesna

di Ida Verrei

Libreria Edizioni Croce

Narrativa romanzo

Collana Ozio sapiente

Pagg. 192

ISBN 9788864021058

Prezzo € 15,00

 

 

 

Il romanzo “Le primavere di Vesna” di Ida Verrei è esteticamente ben riuscito. Ma non solo. Esso spinge a una profonda riflessione sull'incidenza che sulla nostra vita hanno non solo gli eventi, ma le nostre stesse risorse interiori e la nostra capacità di amare con generosità o con egoismo! Inoltre non so se nell'intento dell'Autrice ci sia un atto di denuncia della condizione femminile, come realisticamente a me pare.
Scorrendo la prima metà del libro si intravede un panorama povero, colmo di stenti per via della guerra, ma caldo di affetti familiari, luminoso di speranze.
La protagonista, Liana, nonostante i disagi, le paure, l'incertezza del futuro, non rinuncia a vivere allegramente la sua infanzia e la sua giovinezza in un contesto ambientale dove le minute descrizioni paesaggistiche, denotando la pulsione vitale della natura, corrispondono in pieno al desiderio di vita della giovane protagonista. Di qui le sue esperienze di lavoro, di svago, di sentimenti fino all'incontro con Giovanni, colui che sarà il suo sposo, dopo che, congedatosi dall'esercito, decide di vivere con lei come un buon marito e un buon lavoratore. Ma è proprio qui la cesura non tanto rispetto alla piega che prenderà la vita di Liana, quanto rispetto alla forza interiore del coprotagonista.
Ad uno sguardo più generale ci si renderà conto che in realtà la cesura è ben più ampia. Da una parte le donne del romanzo: Anna, Vera, Olga, Liana. Donne coraggiose, disposte al sacrificio, vero eroine del quotidiano e timonieri della barca familiare. Dall'altra gli uomini: Paolo, Danilo, Giovanni, ognuno a suo modo versato in un impegno, ma tutti abbastanza deboli, bisognosi di essere accuditi e aiutati a raggiungere i loro obiettivi, senza una vera personalità, capaci solo di impuntature ma non di scelte coraggiose. E sempre in dubbio su cosa fare. Di volta in volta scelgono solo il meglio, il meglio per sé. E qui sta il punto. Il meglio per sé! Limitiamoci a Giovanni, l'antieroe. Non basta aver militato in un esercito in guerra per farne un eroe. Mi rimbalzano in mente le parole di Medea nell'omonima tragedia di Euripide:
Dicono che noi donne vivendo in casa viviamo senza pericoli e l'uomo ha i pericolo della guerra. Ragionamento insensato! Vorrei trovarmi tre volte in battaglia, anziché partorire una sola volta.
Le sue scelte di vita dunque sono dettate, consapevolmente oppure no, dall'egoismo.
Dapprima la sistemazione, finita la guerra, poi il richiamo del paese natio, poi il desiderio di raggiungere il traguardo della laurea, infine quello di far carriera e, l'ultimo dei tradimenti, la tresca con una vecchia fiamma fino al punto di convincere subdolamente Liana a ritornare in seno alla sua famiglia d'origine, dato che, distratto da tanti motivi, la sua promessa d'amore eterno ormai non aveva più senso. Ma questo lo serbava nel cuore, ancora una volta invece un falso giuramento: l'avrebbe raggiunta di lì a poco, ricongiungendosi a lei e alle figliolette, mentre già il letto nuziale stava già per essere nuovamente occupato da un'altra donna.
A nulla valeva dunque per Liana l'aver rinunciato per lui a tutto, casa, famiglia, città care. Ma il massimo oltraggio alla sua femminilità era stata la più crudele operazione compiuta da Giovanni che neppure gli animali compiono: separare da lei la figlia maggiore, Teresa.
Paradossalmente accondiscendendo a tale separazione, ancora una volta Liana rivela il suo grande amore e il sacrificio composto dei suoi diritti di donna e di madre. A dispetto dell'egoismo, infatti, per assicurarle una vita migliore, lascia che la bimba vada a vivere a Napoli con il padre, soffocando l'amore materno in un grumo perpetuo di nostalgia. Né solo a lei appartiene l'amarezza del distacco, dello scompaginamento del nucleo familiare. Anzi è proprio sulle figlie che ricadono gli esiti devastanti di tale operazione.
Da una parte Teresa, vissuta in un clima di disamore materno nella casa del padre e della sua nuova (antica) compagna di vita, dall'altra Vittoria, comprensibilmente vittima di un senso d'abbandono e severo giudice allorché la madre si abbandona al bisogno d'amore e di aiuto economico rendendosi disponibile alle profferte di Manuel, amante appassionato e strambo.
Occorre sottolineare ancora una volta la grande, sommessa forza interiore di Liana, la sua capacità di convogliare verso la positività il sapore amaro delle sue sofferenze, e ancora l'amore che nutriva per le sue bambine, vissuto come poteva, ma sempre profondo e discreto, come lo fu quando, rinunciando a se stessa, al proprio orgoglio, si accontentò di spiare la sua Teresa che in abito da sposa varcava la soglia della chiesa, nascostasi dietro una colonna per non turbare la serenità del giorno nuziale, per non reclamare alcun diritto, lei che ne aveva persi molti non per rinuncia bensì per una sorta di obbedienza a situazioni più grandi di lei. Né ebbe pensieri di rancore quando vide Giovanni, invecchiato e curvo, sotto il peso anche lui di scelte sbagliate. Costui ne era ormai consapevole, cosa che lo convinse a bisbigliare una silenziosa, solitaria richiesta di perdono alla sua Vesna, e a rivolgere pensieri di ingrato rancore verso Flora, la compagna che gli aveva restituito un po'della lontana gioventù, ma in cambio, come un'arpia, lo aveva privato di tutto quanto affettivamente aveva costruito fino ad allora.
Ancora una volta delude il sottrarsi alle proprie responsabilità da parte dell'uomo, ancora una volta in uno slancio di generosità esistenziale, nel timore di nuove esistenze travagliate, Luana chiede la grazia che almeno Teresa non abbia figlie femmine perché ancora una volta non sia la donna a sopportare il peso della vita, complessa o sbagliata che sia, di fronte alla viltà e all'inadeguatezza maschili.
Ma Luana si accorse in tempo, mentre scendeva lungo il viottolo che la conduceva alla stazione, che i ciliegi erano fioriti, segno di primavera, che come sempre ritorna con i suoi colori e la sua luce a riequilibrare la vita, sempre in bilico tra gelide delusioni e luminose speranze, tra cocenti sconfitte e la strenua volontà di continuare a lottare. Ancora una volta volle superare l'angoscia di una vecchia profezia con la certezza che “Vesna ritorna sempre”.

 

Adriana Pedicini

 

www.liberolibro.it

 

 
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