L'incantatore di Vladimir Nabokov, Adelphi
Racconto ritrovato di Nabokov La nascita di Lolita
Non è raro, nelle opere artistiche, scoprire accenni che adombrino componimenti
di più vasta portata, quasi anticipazioni di un'opera più completa e matura.
Leggendo L'incantatore (Adelphi, 116 pagine, 14 euro) di Vladimir Nabokov
(1899-1997), curato e tradotto dal figlio Dimitri, abbiamo sotto gli occhi la
più ironica e inquietante fiaba di un maestro d'inganni («Ogni grande scrittore
è un grande imbroglione», diceva Nabokov nelle sue lezioni universitarie di
letteratura), in un certo senso un prototipo della celeberrima Lolita. Seppur
nato dalla stessa ispirazione, il pruriginoso racconto non
ricalca alla lettera l'essenza dei due protagonisti — qui senza nome: un
uomo maturo e una bambina — anche se possono apparire come la previsione del
romanzo che ha dato in seguito la celebrità all'autore.
Dedicato alla moglie Véra, il racconto è preceduto da due note dove Nabokov
afferma, tra l'altro, di aver avvertito «il primo piccolo palpito di Lolita»
alla fine del 1939, epoca in cui scrisse questo testo che poi credette di avere
smarrito, lieto infine di averlo ritrovato, in quanto «è un bel brano di prosa
russa, preciso e limpido, che con un po' di attenzione potrebbe essere reso in
inglese».
Fortunatamente, dunque, il ritrovamento si è avverato e L'incantatore, esce con
postfazione del figlio Dimitri che sottolinea e chiarisce molti punti di
contatto o di divergenza tra l'opera più nota e il racconto premonitore,
sottolineando come la protagonista femminile sia più o meno la stessa
ragazzina, ma qui perversa soltanto agli occhi del folle protagonista, in
realtà del tutto incapace di un intrigo come quello messo in atto da Lolita. La
trama è costruita su un filo ininterrotto di suspense, come in un raffinato
romanzo giallo. Il protagonista maschile è un pedofilo che sposa la madre
malata, vagheggiando addirittura di sopprimerla, per godere le grazie
adolescenti della figlia. Splendida, come sempre, la prosa allusiva dell'autore
nel presentarci l'ignara figuretta femminile, vista dal vizioso, destinato a
diventarle patrigno: ‹‹Vestita di viola, una ragazzina
dodicenne — lui non si sbagliava mai sull'età — avanzava rapida e decisa
sui pattini che, invece di scorrere, schiacciavano la ghiaia facendola
scricchiolare. In seguito, gli sembrò di averla apprezzata tutta, dalla testa
ai piedi, subito, in quel primo attimo: la vivacità dei riccioli
castano-ramati, freschi di taglio; la luminosità dei grandi occhi, un po'
vacui, che ricordavano in qualche modo la trasparenza dei chicchi di uvaspina;
l'incarnato caldo e gioioso; la bocca rosa, appena socchiusa talché i due
incisivi superiori poggiavano appena sul labbro inferiore sporgente;
l'abbronzatura estiva delle braccia nude con quella liscia sottile peluria
volpina sugli avambracci».
L'incantatore avrà la fine che si merita, ma noi nel corso della lettura,
resteremo deliziati dalle sinestesie, dalle distorsioni e inversioni visive di
un autore di raro talento che ci ammalia ancora una volta, anche solo con un
racconto.
Grazia
Giordani
www.graziagiordani.it