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  Letteratura  »  La vita è breve e il desiderio infinito, di Patrik Lapeyre, edito da Guanda e recensito da Grazia Giordani 13/10/2011
 

La vita è breve e il desiderio infinito, di Patrick Lapeyre – Guanda

 

 

 

 

Amore? Indicibile. Ma che capolavori a dirne gli effetti

 

 

 

 

 

Se credete di aver sentito tutto sull'amore, non avete ancora letto La vita è breve e il desiderio infinito (Guanda, 288 pagine, 17 euro, traduzione di Marcella Uberti-Bona) del francese Patrick Lapeyre, vincitore nel 2010 del Prix Femina con questo acclamatissimo romanzo, che per un soffio non ebbe anche il Goncourt: 60mila copie vendute in pochi giorni, grazie al passaparola. L'autore sa coniugare romanticismo e ironia in un gioco di piani temporali mobili, elusive quinte teatrali che alternano eros e tenerezza nell'immaginario del lettore.
Cuore della narrazione è Nora che non ha le caratteristiche classiche della femme fatale, ma è dotata piuttosto di una innocente ambiguità, capace di rasentare la perfidia.

Di madre francese e padre inglese, aspirante attrice, giovanissima, tanto inquieta quanto inquietante, è la donna eternamente sfuggente e inconoscibile che non sa decidersi a quale amante darsi veramente, divisa tra il parigino Louis Blériot, quarantenne, traduttore freelance, sposato con l'intellettuale e troppo indulgente Sabine, e l'americano Murphy Blomdale, operatore finanziario a Londra.
Improvvisamente, dopo 25 mesi, tre settimane e 25 giorni di silenzio, Nora («la donna che sente essergli destinata») si fa viva con Blériot, dicendogli che sta tornando a Parigi da Londra. Il desiderio infiamma e sconvolge Blériot, scontento della mediocrità del suo malcompensato lavoro e stanco del tran-tran matrimoniale con la lodevole Sabine, angosciato dal persistente legame altalenante di Nora con l'americano Blomdale, vero eroe della pazienza, illuso di trovare nella ragazza la possibilità di formare una famiglia, scongiurando anche la minaccia della solitudine.
Maestro nel descriverci il piacere del desiderare una persona e la sofferenza di non poterla avere in toto, Lapeyre ci tiene incollati alla pagina. Interrogato in merito, l'autore sostiene di non essersi prefisso di «raccontare il solito triangolo amoroso. Il centro dell'amore è stato descritto in tutti i modi. A me interessava l'effetto che nasce quando si vuole a tutti i costi una persona. È come con il sole: non ha senso cercare di guardarlo direttamente, ti acceca. Ma molto più valore ha vedere i suoi effetti sulle cose».
L'autore è dunque riuscito in maniera innovativa a descrivere il sottile spazio che s'insinua tra il desiderio e il suo compimento, coagulandolo dentro l'ambito esistenziale dei suoi personaggi, dando voce anche alla magia del ricordo e sottolineando come la possibilità dell'amore vero non debba essere resa asfittica dalla confusione con la passione. Concentrato sugli istinti normali, quelli della quotidianità, Lapeyre rifugge da «parametri psicoanalitici», per sua stessa ammissione, sostenendo che il suo libro sia piuttosto «un esperimento di fisica della passione e del desiderio puro». Operazione letteraria perfettamente riuscita.

 

Grazia Giordani

 

 

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