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  Letteratura  »  Le rose di Atacama, di Luis Sepúlveda, edito da Guanda e recensito da Grazia Giordani 25/11/2011
 

Le rose di Atacama di Luis Sepúlveda, Guanda

 

 

MAGICHE STORIE DI EROI NELL'OMBRA

 


È bastata la visita al campo di concentramento di Bergen Belsen, in Germania, a mettere in moto la penna di Luis Sepúlveda - il famoso scrittore cileno (noto a partire dal suo "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore", per giungere a "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare") -, inducendolo a scrivere "Le rose di Atacama" che Guanda ha portato in Italia per noi, nella bella traduzione di Ilide Carmignani.
L'ispirazione può nascere, nell'immaginario degli artisti, da fatti apparentemente scontati; gli scrittori di valore hanno un "terzo occhio", un modo di leggere la vita in un'ottica tutta speciale e pronta a fornire serio motivo di scrittura. "Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia"- ha letto Sepúlveda nella "ruvida superficie di una pietra", proprio in un angolo del lager, "a un passo da dove si innalzavano gli infami forni crematori" -, e così ha deciso di mettere nero su bianco storie di gente torturata o emarginata, di eroi nell'ombra che, altrimenti, sarebbero caduti nuovamente vittime, e questa volta, dell'oblio.
Attraverso il suo stile letterario sobrio, senza ricercatezze ("in questo senso - afferma - ho sempre presente la lezione di Hemingway, che ha detto: si possono scrivere ottime storie con parole da venti dollari, ma la cosa davvero lodevole è raccontare quelle stesse con parole da venti centesimi"), lo scrittore cileno ci presenta una galleria di ritratti eterogenei, ma uniti da quel filo di seta che separa gli eroi acclamati dalla storia da quelli misconosciuti.
Ed ecco venirci incontro il tedesco Fritz Niemand - Federico Nessuno - che, "sopravvissuto all'orrore nazista gira cieco la Germania cercando le voci dei carnefici"; e il professor Gálvez - vittima di un inesplicabile esilio -, che sognava così intensamente la sua aula scolastica e i suoi allievi, da svegliarsi con le dita sporche di gesso. In linea con buona parte della letteratura latino-americana (Garcia Marquez, a questo proposito, docet), spesso Sepúlveda ha degli abbandoni nella sfera del "realismo magico", anche se questa etichetta non gli piace e preferisce parlare di "scrittori che hanno iniziato a raccontare la "magia della realtà"".
Tornando ai protagonisti de "Le rose di Atacama", una commozione speciale suscita la lettura di "L'amore e la morte", in cui l'autore narra l'eutanasia che è stato obbligato a far praticare al suo gatto Zorba "per molti anni il nostro compagno di sogni, racconti e avventure (…) amato compagno a quattro zampe dalle fusa melodiose", condannato da un male terribile. E soprattutto racconta - lo scrittore - il difficile compito di comunicare ai suoi piccoli figli l'ineluttabilità di questa morte e quindi la maturità dei due bambini che seppelliscono l'amato compagno ai piedi di un ippocastano e scolpiscono sopra una lapide in legno: "Zorba, Amburgo 1984 - Vilsheim 1996. Pellegrino, qui giace il più nobile dei gatti. Ascolta le sue fusa".
Quindi non solo uno scrittore animato da ispirazione civile, dedito ad una scrittura militante, ma anche un uomo che sa intenerirsi e farci intenerire con il ritratto di un piccolo animale.
Indimenticabile il ritratto dell'argentino Lucas che "stufo di discorsi ipocriti, decise di salvare i boschi della Patagonia andina con il solo aiuto delle sue mani"; e quello dell'ecuadoriano Vidal che si raccomandava a Greta Garbo per farsi forza durante i pestaggi dei latifondisti; e quello di Fredy Taverna che affrontò i carnefici cantando. E poi ancora "I gemelli Duarte", trapezisti perseguitati dai militari ("Un giorno del 1974 - racconta il gemello sopravvissuto -, facevamo lo spettacolo a Colonia e i militari perquisirono il circo. Ci portarono via tutti: i pagliacci, l'uomo di gomma, il domatore di tigri, il mago, i musicisti. Tutti quanti in caserma a deporre e, man mano che lo facevamo, ci rilasciavano, finché un militare disse che mio fratello Telmo non era né trapezista né uruguaiano, ma un guerrigliero argentino. Ci difendemmo come potevamo, mostrammo certificati di nascita e ritagli di giornali internazionali, li pregammo di guardarci, eravamo identici, ma loro insistettero e se lo portarono dall'altra parte del Rio de la Plata. Da allora non ho più saputo nulla di lui"). In questo episodio ritroviamo la "vis magica" dello scrittore, con la capacità del fratello sopravvissuto di rimanere "attaccato al trapezio, immaginando che le mani salde che lo afferravano dopo il triplo salto mortale fossero quelle del suo doppio".
Storie di carneficine, malvagità, soprusi, ottusità ingiustamente subite da donne e uomini indifesi e altrimenti dimenticati, ma anche storie dell'amore che l'autore porta ai suoi simili, persuaso che "la letteratura è un crogiolo di differenze che ci permettono di riconoscerci come membri della grande famiglia umana e forse ci insegna che queste differenze ci avvicinano".

 

Grazia Giordani

 

www.graziagiordani.it

 

 
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