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  Letteratura  »  La Sicilia come metafora, di Leonardo Sciascia, edito da Mondadori e recensito da Maria Carmen Lama 16/12/2011
 

Leonardo Sciascia – La Sicilia come metafora – ed. Mondadori

 

 

Recensione di Maria Carmen Lama

 

 

Un libro atipico questo di Leonardo Sciascia, dal titolo La Sicilia come metafora, costituito da una interessante intervista sottoposta allo scrittore siciliano dalla giornalista francese, Marcelle Padovani, nel 1979.

Si potrebbe già pensare che sia inutile leggere un libro così datato e che non è nemmeno uno degli importanti romanzi-denuncia di Sciascia, salvo rendersi conto che la sua vena critica, emergente con lucidità e severa obiettività in questa intervista, possa ancora rivelarsi attuale.

E in effetti, il libro è di un'attualità sconvolgente, quasi una premonizione, anche perché basato su un filo rosso storico dal quale si evince che nel mondo politico e sociale non ci sono delle novità positive, almeno dal tempo dei Romani! E la condizione politica e sociale dei nostri giorni, purtroppo, ne risulta candidamente rispecchiata, come se Leonardo Sciascia stesse parlando del nostro tempo e non del suo.

E non è una sorta di pessimismo insanabile dello scrittore questa sua visione delle cose, in caduta, ma semplicemente il risultato sia di esperienze vissute in prima persona, sia di una osservazione disincantata della realtà: quella a lui prossima negli anni dell'intervista e quella a cui egli risale, con una memoria storica nient'affatto corta e men che meno indulgente verso ciò che non va assolutamente, specie in una società che vuole dirsi democratica e civilmente evoluta.

Insomma, semplicemente (sic!) una presa d'atto di una realtà che, nel suo inevitabile divenire temporale, è di una staticità mortifera e mortificante, nel senso più deleterio di questi ultimi due aggettivi, perché si tratta di una tragica involuzione, di un ritorno continuo ad esperienze politico-sociali e quindi anche storico-individuali, che non permettono di prendere respiro, che non fanno avanzare di un passo la cultura in senso lato e quella democratica in particolare, e che non liberano l'uomo dalle pastoie burocratico-legislative, economico-finanziarie, in cui ve l'avviluppa lo strato sociale che detiene il potere e che, chissà perché, è costituito sempre da chi possiede di più in termini materiali, patrimoniali, e di buona dose d'arroganza e di presunzione di legittimità delle sue funzioni, come un'investitura a vita e/o simil-ereditaria.

Per non parlare delle pastoie religiose e di quelle che avvolgono persino i comportamenti più privati e il modo stesso di pensare (v. tutte le forme di manipolazione del pensiero attraverso messaggi pubblicitari subliminali e attraverso la distorsione di verità per interessi di parti politiche, partitiche o idelologiche, ecc… che già facevano pesantemente sentire la loro presa al tempo di questa intervista e del rispettivo libro di Sciascia).

 

Il titolo di questo libro, oltrettutto, è emblematico, perché ci invita immediatamente a chiederci: la Sicilia è metafora di cosa?

Se il titolo vuole condensare  tutto il percorso della conversazione sostenuta nel libro, è da chiarire subito che cosa intende comunicare.

Sciascia afferma: «La realtà tende a diventare ovunque “mafiosa”. La “linea della palma” risale dall'Africa verso l'Europa di 50 centimetri l'anno. Guai alle conseguenze!».

Sembra proprio una profezia, almeno a giudicare da quel che vediamo compiersi giorno per giorno sotto i nostri occhi.

Per questo, ritengo che l'attualità di questo libro non si riferisca solo al nostro tempo, che ripercorre, ampliandoli e distorcendoli, gli stessi modelli politico-sociali degli anni '70, ma molto probabilmente si riferisca anche a un tempo futuro, nel quale le conseguenze non potranno essere che un ulteriore ampliamento dei problemi e deterioramento del sistema-Italia. A meno che non ci sia un soprassalto di orgoglio nazionale che facendoci intravedere un baratro non ci imponga un cambiamento culturale e mentale e una virata decisa verso un'auspicata quanto necessaria moralità che partendo dal basso e dal privato individuale, coinvolga in una spirale virtuosa il sociale e soprattutto, e in tempi brevi, il mondo politico.

Per confermare ed analizzare in tutte le possibili accezioni l'assunto del titolo di questo libro, l'intervista si snoda su diversi temi:

-  inizia dall'identità dello stesso Sciascia, siciliano che ha vissuto dentro il mondo del dramma   pirandelliano, dove identità e relatività costituivano (costituiscono!) elementi di un “pirandellismo in natura”, ma che per superare la solitudine in cui un tale mondo lo poneva, ha voluto aggrapparsi alla ragione, cioè all'altra faccia delle cose e a un modo diverso di “ragionarle”

-  passa poi a parlare della “mafia” dandone una rappresentazione quanto mai rivelatrice del potenziale distruttivo e disgregante che contiene e facendo indignare nel leggere una sorta di “elogio funebre di un mafioso”, dove dopo un distico in corsivo che dice: “In Lui gli uomini ritrovarono / una scintilla dell'eterno rubata ai cieli”,  dà alcune informazioni sulla vita di quest'individuo e termina con queste parole: “… dimostrò, con le parole e con le opere, che la mafia sua non fu delinquenza, ma rispetto alla legge dell'onore, difesa di ogni diritto, grandezza d'animo: fu amore

-  prosegue con il punto di vista dello scrittore su “come si può essere siciliani”

- e con il sostenere una “verità dello scrittore”, il quale, grazie ad una sua esperienza diretta in politica, riesce ad essere molto critico anche con il partito da lui appoggiato

- e si conclude, infine, con una disamina molto ben articolata del potere - soprattutto se è comunista.

Questa, in breve, la successione dei capitoli del libro.

La lungimiranza di Leonardo Sciascia, basata -come ho già scritto- su una lettura diacronica della vita politica in Italia (con cenni su qualche altra nazione europea) e sull'osservazione dei dati di fatto del periodo storico a ridosso del cosiddetto “affare Moro”, è veramente sorprendente e, mentre invita a non perdere di vista il passato per non ripetere gli errori commessi, dà una fotografia quanto più nitida possibile del presente, purtroppo minato da troppi compromessi e corruzione e  mafiosità dilagante, e nello stesso tempo mette in guardia su un futuro che potrebbe non distinguersi poi tanto dal presente e da quello stesso passato che sempre si fatica a lasciarsi definitivamente alle spalle, giungendo però a dare anche prospettive di speranza in un cambiamento possibile in positivo, se si acquisisse la consapevolezza delle zavorre (politiche, morali, sociali, culturali, economiche, commerciali… ecc… ecc..) che continuano a pesarci addosso e della necessità-urgenza di abbatterle, alleggerendo e rimodernando il nostro Paese, in modo che si abbia a buon diritto la certezza di vivere in uno Stato veramente democratico e veramente civile.

È un libro che una siciliana come me, trapiantata da alcuni decenni al Nord d'Italia, non poteva non leggere con la convinzione che si può essere buoni italiani, ma solo a patto che ci si riesca a liberare dalla marginalità in cui siamo continuamente spinti (lo vediamo ancora in quale considerazione è tenuta l'Italia dai partners europei!), rigettando una volta per tutte quella brutta etichetta di mafiosità che infanga la Sicilia in primo luogo e ormai anche il resto d'Italia dove la malavita organizzata ha prolungato i suoi tentacoli.

Pur nel pessimismo di fondo che si possa rivoltare una condizione ormai secolare, non ci resta comunque che il dovere di sperare nel cambiamento e negli uomini e nelle donne che hanno a cuore il futuro delle nuove generazioni e dell'Italia.

 

 
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