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  Letteratura  »  Più alto del mare, di Francesca Melandri, edito da Rizzoli e recensito da Ferdinando Camon 13/03/2012
 

Parlarsi dentro la colonia penale

di Ferdinando Camon

 

 

"La Stampa - Tuttolibri" 4 marzo 2012

 


Mi piacerebbe sapere dove abita l'autrice, aspettarla davanti casa, seguirla di nascosto. Vedere dove va, cosa compra, cosa fa, come si comporta. Il libro mette questa voglia. È un libro dalle visioni così lucide che si stagliano come un paesaggio lavato dalla tempesta. Una lingua pulita, che ti pulisce il cervello.
Tutto si svolge in un altro mondo, separato da un muro invalicabile, il mare, e “non c'è muro più alto del mare”. Chi è di là non deve tornare di qua. Di là c'è una colonia penale, ci stanno i condannati per diversi crimini, compresi i super-condannati dell'ergastolo. Perché tra i diversi carceretti c'è anche un Carcere Speciale, nel quale cambia tutto. Il carcere è rumore, grida, baccano, mani tese, caos. Il carcere Speciale è silenzio e ordine. Le visite dei parenti sono sottoposte a un protocollo schematico, che sembra applicato da macchine più che da uomini. Per esempio non puoi importare bistecche crude ma cotte sì, non un accappatoio ma un asciugamani con maniche sì. Il racconto segue due visitatori, Luisa e Paolo, dall'imbarco sul traghetto al trasferimento dentro l'isola (mai nominata), alla notte, al giorno dopo, al ritorno. Luisa, contadina, va a trovare il marito, violento e assassino, Paolo va a trovare il figlio, terrorista pluriomicida. Parrebbe, e per buona metà del libro te l'aspetti, che il libro sia la narrazione della distanza tra moglie-marito e padre-figlio, e del loro incontro-contatto. Nel contatto ti aspetti che i due che sono di là passino di qua. La redenzione. Ma non avviene. Il libro non è qui, in questo contatto. Il contatto è impossibile, impossibile la comunicazione. Nel mondo di Luisa la moglie non può parlare al marito, e quando lei, appena sposata, gli chiede silenzio, per ascoltare la natura, lui quasi la strangola. Nel mondo di Paolo il figlio è l'anti-mondo. Fa il terrorista, non si sa mai dov'è. Quando lo catturano, padre e madre esultano, finalmente sapranno dove si trova. Ma quando viene a sapere che è accusato di più omicidi, la madre si lascia morire. “Ma che hai fatto, figlio mio?”, e lui, radioso: “La rivoluzione”. Le due violenze, del marito e del figlio, sono dette in misura perfetta, noi lettori non chiediamo di più. E tuttavia il libro non è qui. Il libro è nel lento, timido, casto avvicinamento di Paolo e Luisa, che si vedono nella prima pagina, ma si fanno la presentazione a pagina 151. Ognuno fiuta nell'altro una sofferenza analoga alla propria, che è indicibile a colui che è fonte della sofferenza, e non scopre nessun'altra direzione in cui dirsi. Il racconto diventa questa scoperta, che ognuno fa nell'altro. Lui conserva il ritaglio della foto di una bambina, orfana per colpa del figlio. Si offre come padre sostituto? È una nuova paternità? Lei prima che la storia finisca si prende quella foto, si offre come compagna di lui? Intrecciano così le loro esistenze? L'isola è un confessionale, lì si dicono cose indicibili altrove. Con sapiente delicatezza, il libro dice questa indicibilità.


Francesca Melandri,
Più alto del mare, Rizzoli, pagg. 240, euro17,00

 

www.ferdinandocamon.it

 

 

 
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