Marta che aspetta l'alba
di Massimo Polidoro
© 2011 Edizioni Piemme
ISBN 978-88-566-1994-2
Pag 187 € 14,50
Polidoro è un docente di metodo
scientifico e psicologia dell'insolito dell'Università Bicocca di Milano.
Il suo lavoro è stato intervistare la signora Mariuccia Giacomini e farle raccontare la sua storia e quelle delle
persone che con lei sono venute a contatto, quando lavorava presso quello che era noto come il manicomio San Giovanni di
Trieste, il cui vero nome è ospedale psichiatrico “Andrea di Sergio Galatti”.
Ai più questo nome non dice nulla, a chi come me, da tempo, si occupa di malati mentali, fa subito venire in
mente Franco Basaglia e la sua lotta per dare dignità
a chi soffriva di malattie psichiatriche.
La storia inizia con Marta, una ragazza di una famiglia bene che
non è d'accordo col matrimonio di sua sorella con quel Carlo che non la
convince molto.
Siamo negli anni sessanta, e ancora esiste il ricovero coatto
delle persone.
Marta si ritrova ricoverata al San Giovanni e, più urla la sua
sanità mentale, più le danno della pazza. E cosa si fa ai pazzi in quegli anni?
Li si imbottisce di farmaci, li si lega ai letti, li
si chiude in gabbia. Se questo non basta e nemmeno le botte convincono a stare
calmi, si fanno gli elettroshock e se ancora non si ottengono risultati… il
paziente viene lobotomizzato. Una pratica barbara e
assurda.
Mariuccia ha bisogno di lavorare e viene
assunta come infermiera. In realtà passa le sue giornate di lavoro a pulire
vetri e pavimenti, a lavare con la canna i sudici, cioè quelli che si fanno tutto addosso. A imboccare a forza i tranquilli, che
non si muovono.
Non le sembra giusto quello a cui
assiste: donne trascinate per i capelli sul pavimento, o prese a calci… ma chi
è lei per sapere come vanno trattati i matti? Così tace e lavora.
Ma un giorno arriva il dottor Franco Basaglia,
uno psichiatra che pensa che i matti possano migliorare se gli si parla, se li si fa uscire in mezzo alla gente normale.
Tutti gli danno addosso, dai partiti
politici, agli altri medici;fino alla gente che ha paura di quelle persone. Chi
li vuole incontrare per strada?
E invece… invece Basaglia vince la sua
battaglia, dimostrando che ha ragione; dando dignità a persone che non
l'avevano mai avuta.
Spesso le persone ricoverate non erano nemmeno affette da vere
patologie, ma avevano solo delle stranezze, o erano bambini abbandonati e
cresciuti, poi, in manicomio.
Simbolo di tutta questa vicenda è Marco cavallo. Un equino che i
matti vedono fuori dalla loro finestra, transitare su e giù per trasportare la
merce. Quando avranno la possibilità di avvicinarsi all'arte
e di fare qualcosa con le loro mani, chiederanno a gran voce la statua di Marco
cavallo: una statua grande, con una pancia grossa per contenere i loro
desideri, azzurro come il cielo: come la libertà.
Non è un libro lungo o difficile da leggere, anzi, è piuttosto
corto, di approccio immediato. Con tante frasi riportate in dialetto triestino,
così come parlavano la gente che lavorava lì, e come tentavano di esprimersi
anche i malati.
Mariuccia ci racconta la sua vita, e tramite questa ci parla dei
pazienti, dei progressi fatti in quegli anni. Della sua crescita personale,
come donna e come individuo. Uno spaccato storico di quegli anni importante.
Purtroppo Basaglia morì prima di aver
portato a compimento la sua opera. Così, vennero fatti
estinguere i manicomi e aperti i presidi, ma, quel che ancora oggi manca, è
l'aiuto alle famiglie delle persone malate.
Se lui avesse potuto ultimare il disegno che aveva in mente, di
certo ci troveremmo in una situazione più agevole e facile per tutti.
Il libro termina con Mariuccia che va a prendere Marta. Dalla ragazza che era è diventata una donna obesa, senza denti, rovinata da
tutto ciò che ha subito. Marta che all'alba aspetta la sua amica, vestita di
tutto punto per uscire in quel mondo che per troppo le è stato negato.
© Miriam Ballerini