La
Violoncellista
Michael Krüger
e la decadenza delle Arti
di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
La violoncellista è uno degli ultimi lavori di Michael Krüger,
un lavoro semplicemente entusiasmante, ma che la
critica italiana, quella che si rifugia nell'intellighenzia pecoreccia, non ha tenuto in considerazione lasciando
che passasse quasi del tutto inosservato. Michael Krüger è nato nel 1943 a Wittgendorf,
in Sassonia; oggi è responsabile della Casa editrice Hanser
e della rivista «Akzente». Le sue opere proposte in
Italia sono: Perché Pechino? (Einaudi, 1987), Il ritorno di Himmelfarb
(Frassinelli, 1995), La violoncellista (Einaudi, 2002), Di notte tra gli alberi
(Donzelli, 2002), Poco prima del temporale (Frassinelli, 2005), Commedia torinese (Einaudi, 2007), Il coro del
mondo. Poesie 2001-2010 (Mondadori, 2010).
La violoncellista è ottimo lavoro, indagine profonda del
nostro mondo avviato verso una lenta quanto inesorabile decomposizione
artistica. Le idee sono frammenti che non reggono il peso della storia, della
società nuova che sposta il suo interesse verso il facile, il commerciale, il
banale. L'idea è seriale, prodotta da uno spaventoso organismo statale e
privato che vuole tutti gli uomini uguali fra di loro,
annullando così in loro l'individualismo, lo spirito critico, la fantasia,
l'idea stessa di poter pensare di avere delle idee.
Michael Krüger è spirito affine a quello di Bertolt Brecht: la sua prosa è sospesa in
un lirismo incantato, scarno, provocatorio. La violoncellista è soprattutto
poesia in forma di romanzo. Krüger mette a confronto il vecchio ideale e lo
reinterpreta attraverso la voce di Judit,
ventitreenne violoncellista figlia di una vecchia fiamma del protagonista del romanzo. Il cinquantenne compositore, afflitto da
ipocondria, lacerato da due opposte vocazioni, non può fare a meno di trovare
in Judit una finta àncora
di salvezza, forse un indizio che rimetta in gioco la sua esistenza divisa fra
l'amore per la musica d'avanguardia, impopolare e assai poco redditizia ma
profondamente nobile, e l'amore di scrivere jingle per serial televisivi. Non
sa decidersi, è un uomo combattuto che vorrebbe dedicare tutto sé stesso alla produzione avanguardistica, ma si trova a
dover fare i conti con il mercato musicale che riesce ad accettare solo ciò che
è seriale. La vita del compositore è negata nel bisogno di produrre “in serie”
per accontentare la necessità di sfamarsi, mentre il suo desiderio più forte
sarebbe quello di rivolgere tutta l'attenzione verso l'arte senza compromessi.
Ed ecco Judit, una ragazza giovane bella fresca,
appena ventitreenne: è la figlia di Maria, una cantante ungherese con la quale,
negli anni giovanili a Budapest, ha vissuto una breve ma intensa relazione. Il
cinquantenne compositore se la trova fra i piedi, all'improvviso, e non sa
perché sia venuta a Monaco e si sia piazzata in casa sua. Chi o cosa pretende Judit? Judit gli spiega che è da
lui perché intende perfezionare l'arte del violoncello; tuttavia il compositore
non sa se credere a questa verità-bugia che gli viene
spiegata senza troppi giri di parole. Eppure Judit
sembra essere sincera, o almeno, forte della sua giovinezza ancora non troppo
lacerata dagli astuti mali della società, potrebbe dire
la verità. Il
sospetto si insidia nel compositore: non sarà mica
(anche) sua figlia? Non lo sa. Ma non può fare a meno di innamorarsi, almeno
platonicamente, di questa giovane che è troppo bella, bella come la sua Maria di tanti anni
fa, quella Maria che era anche l'ideale di quando era giovane, ideale che non
poteva essere svenduto per un jingle televisivo.
Il violoncello di Judit diventa
umano, ogni nota è un grido mortale di una bellezza che il compositore aveva
dimenticato, ed è Judit che lo suona, forse sua
figlia.
La violoncellista è
ritratto feroce e critico nei confronti delle istituzioni culturali della
Germania moderna che vive la decadenza inesorabile delle arti. Michael Krüger
riflette su memoria individuale, gulag, valori occidentali, su quel sentimento
di nostalgia per le cose dell'Est che in Germania va sotto il nome di Ostalgie,
conducendo una sottile autolesionistica meditazione sull'impossibilità di
tenere (e mettere) in piedi
rapporti autentici; l'amore, l'amicizia, la solidarietà, persino il Comunismo sono solo maschere ambigue e sfuggenti che riflettono un
vivacchiare ottuso, spesso opportunistico, all'interno di un quotidiano ripetitivo, quasi rituale,
perfettamente seriale. L'autore rievoca sullo sfondo del romanzo gli inquietanti
fantasmi di una impossibile coerenza: Anna Achmatova,
Ossip Mandeľstam,
Paul Celan,
sono sullo sfondo, invitano alla coerenza, ad abbandonare la facilità seriale
dei jingle, ma il compositore è dilaniato. Questi fantasmi sono ombre evocate
dalla cattiva coscienza di chi ha creduto nel socialismo, e il protagonista,
ormai, dispera di poter credere ancora in un qualche ideale, anche se la
tentazione è forte, quella di possedere ancora il fuoco sacro amorevole per l'avanguardia, per Judit-Maria e il suo violoncello tanto tanto
umano.
Un romanzo esemplare che la critica più affermata dovrebbe tenere in debita
considerazione e approfondire seriamente invece di spendersi a favore della
finta arte seriale.
La violoncellista
di Michael Krüger , da leggere, comprare, custodire. Da regalare anche, a chi
ama la
vera Letteratura. Assolutamente.
La
violoncellista – Michael Krüger – I coralli – Einaudi –
Traduzione di Palma Severi – pp. 194 – 12,50 Euro
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