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  Letteratura  »  Il destino dei Malou, di Georges Simenon, edito da Adelphi e recensito da Grazia Giordani 26/03/2012
 

Simenon maestro nell'ambiguità Un uomo, più volti

IL LIBRO. Da Adelphi «Il destino dei Malou»
Nel romanzo americano del 1947 le tipiche contorsioni psicologiche

 

 

 

 

 

Ancora un romanzo americano di Georges Simenon, nella bella traduzione di Federica di Lella e Maria Laura Vanorio. Adelphi, che dal 1985 cura la riedizione dell'opera omnia, propone Il destino dei Malou (200 pagine, 18 euro). Scritto in Florida nel 1947, rispetto ad altri romanzi dell'autore offre il dualismo di interpretazione su indole e carattere del personaggio, riguardo all'ottica e all'angolo di visuale di chi lo sta considerando. Lo conosciamo post mortem, il tanto chiacchierato Eugène Malou. È uno squallido truffatore, suicida già nelle prime battute della narrazione. Affarista (oggi diremmo palazzinaro), oppure uomo che si è fatto da , venuto dal niente, che si è sacrificato per dare benessere alla propria famiglia? A Simenon sono sempre piaciute queste contorsioni psicologiche, questo rimescolio nei meandri dell'animo, poiché sa bene quanto sia contorta l'umanità e quanto il grigio sia più attendibile del bianco e del nero. Il romanzo si apre con una revolverata. Alle quattro e un quarto di un caliginoso novembre, in un paesino alle porte di Parigi, Eugène Malou esce da un aristocratico palazzo di rue de Moulins e si spara in faccia. Portato agonizzante nella vicina farmacia, lì chiude i suoi giorni sotto gli occhi dei compaesani, che di lui solo sembrano sapere la disgrazia economica in cui è caduto, quale imprenditore edile, convinti della sua mancanza di integrità morale. Pubblica opinione fomentata dalla pessima campagna di stampa del Phare du centre, il quotidiano locale. Tra la frotta di studenti che, in quel momento, passa casualmente per strada, c'è il diciassettenne Alain Malou che resterà per sempre vulnerato dallo spettacolo della morte del padre. Spetta proprio a lui di comunicare in casa la notizia. Incontrerà solo finzione di dolore da parte di una madre fatua e vanesia (per associazione d'idee la si assimilerebbe a Fanny Némirovsky, madre della grande Irène, tante volte protagonista dei suoi romanzi). Poco dolore anche da parte del fratello di primo letto di Alain, preso dalle sue modeste ambizioni di vita e, ancor meno, da Corine, la carnale e dissoluta sorella. Una famiglia avvelenata dai rancori che, morto Eugène, non tarda a sbranarsi, arraffando quello che si può, quando ormai non vi è più danaro, nemmeno per il funerale. Simenon è maestro nell'intingere la penna dentro la mediocrità e la bassezza di alcuni suoi personaggi. Alain li osserva in silenzio. Si sente diverso da loro e decide, nonostante tutto, di restare in quel paese di provincia ostile, cercando la verità, scegliendosi un destino diverso. Grazie a due amici veri del padre così infangato, ricostruisce una vita fatta di espedienti e di affari al limite del reato. Ma scopre anche un padre che ha dato la propria vita per la sua famiglia, un ragazzo nato poverissimo che ha lottato per raggiungere una posizione ai piani alti. Un epilogo inconsueto per l'autore belga che ci aveva abituati ai finali cupi e tragici, perché nel giovane Alain c'è il germe del perdono.

 

Grazia Giordani

 

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