Decomposizione di Dio
Un
racconto e cento apologhi gnostici tra Kafka e Cioran
Rino Tripodi
InEdition editrice/Collane di Lucidamente 2008
pp. 104, € 10,00
Un libro che pone delle domande, questo
Decomposizione di Dio, di
Rino Tripodi. Domande che, come spesso accade, non hanno risposta
certa. D'altronde un testo deve far riflettere e deve
aiutare a scoprire nuove e possibili strade di percorso interiore. Deve aiutare
a pensare per comprendere più in profondità noi stessi, e questa nuova opera di
Tripodi sembra indicarci molte vie di esplorazione e conoscenza. Il pensiero di filosofi come Cioran e Sgalambro
fa da tramite al pensiero dell'autore e ci introduce negli apologhi da lui
scritti. Il viaggio per la salvezza, nel racconto Il pellegrinaggio ad Atar'sh,
che costituisce il nucleo narrativo “forte” della pubblicazione, passa
attraverso tragedie e perdite e all'arrivo troviamo “un enorme volto malvagio, allo stesso
tempo insano, folle, di una crudeltà inimmaginabile disumana, smisurata.
[…] gli occhi del dio: due buchi neri che attiravano a
sé tutto ciò che stava intorno, inghiottendolo in un'oscurità terribile ed eterna.”
Essere spaesati e dubbiosi a volte è l'unica
scelta possibile. Chiedersi quale sia davvero la forma di un Dio (“continuo ad usare la maiuscola in ragione del valore
storico-religioso del concetto di Dio nell'ambito della tradizione
occidentale”, scrive Raffaele Riccio nell'introduzione al volume) che, nei vari
apologhi che sostanziano la seconda parte del volumetto, è a tratti bambino
irragionevole, ideatore megalomane, bifronte e perciò non veritiero, persino
idiota che non sa ciò che ha combinato, fino a diventare morto e decomporsi nel
disfacimento totale e globale in cui ci ha coinvolti, è la domanda che torna
impellente, la domanda mai del tutto dimenticata. La scrittura di Tripodi scava
in profondità nella Ragione, cerca la Conoscenza e forse la Verità. Non importa se alla fine saremo d'accordo o meno con l'autore: come
scrive Riccio “Il pregio della lettura di questi apologhi sta proprio in questo
totale rovesciamento, che ognuno può interpretare come crede, riconoscendolo o
allontanandosene, sulla base delle proprie valutazioni etiche. In ogni caso, sostare sull'abisso e guardare, non di sfuggita, il volto del dolore in una
società anestetizzata come la nostra, potrebbe comunque rivelarsi un'operazione
di consapevolezza”.
Morena Fanti
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