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  Letteratura  »  Obbedienza e libertà, di Vito Mancuso, edito da Fazi e recensito da Ferdinando Camon 21/04/2012
 

Cristo, Dostoievski e Mancuso

di Ferdinando Camon

 

"La Stampa - Tuttolibri " 14 aprile 2012



Vito Mancuso sta costruendo nella teologia, oggi, una rivoluzione che ricorda quella che han costruito nella scienza, ieri, Galileo e Newton.

E diventa, come quelli, eretico: lo sa e lo dichiara, l'eresia è la strada obbligata per la verità. Stavolta il tema è l'obbedienza. Il traguardo indicato da Mancuso è: non più verità = dottrina, ma verità > dottrina, e quindi verità > Chiesa, e infine verità > cristianesimo. È una tesi eretica. Questo papa, in "Dominus Jesus", afferma: "Tutta la verità sta nella cattolicità".
A monte di Mancuso sta la Parabola del Grande Inquisitore. È la parabola che chiude il pensiero di Dostoievski sul rapporto tra fede e scienza. Mancuso qui la espone, seguendo il racconto dei Fratelli Karamazoff. Ivan è ateo, mentre Alioscia è novizio in un monastero. Sul tavolo dove scriveva i Fratelli Karamazoff, Dostoievski teneva un santino, raffigurazione di un Cristo adolescente e imberbe, intimamente buono. Gli serviva per il ritratto di Alioscia. Ho visto quel santino, in quella casa. Seduto al tavolo, Dostoievski aveva di fronte una finestra, e attraverso la finestra, a sinistra, vedeva le cupole di una chiesa. La sua speranza era di poterle vedere, se gli capitasse una morte improvvisa. Spero che le abbia viste, per la sua pace. Il Grande Inquisitore è molto vecchio, sui novant'anni. È un cardinale, ma ama uscire vestito col saio monastico, e un giorno (uso il riassunto di Mancuso), davanti alla cattedrale, sente un uomo che dice: "Fanciulla, àlzati", e la fanciulla, morta, si alza. L'Inquisitore guarda l'uomo-del-miracolo, lo riconosce, e decide di condannarlo al rogo e bruciarlo. Lo fa catturare e gettare in prigione. Siamo in Spagna, a Siviglia, l'Inquisizione lavora a tutto spiano per mantenere il popolo nell'obbedienza a Roma. Quella notte l'Inquisitore si presenta in carcere, si fa aprire la cella, va davanti al prigioniero, lo fissa a lungo, poi gli spiega come stanno le cose. Gli uomini han bisogno, per essere in pace, di "trovare qualcosa in cui credano tutti gli altri, che tutti venerino, e, condizione imprescindibile, tutti insieme". Le forze capaci di unificare gli uomini nell'obbedienza sono tre: il miracolo, il mistero, l'autorità. "E noi - dice l'Inquistore, a nome della Chiesa Cattolica - abbiamo corretto la tua opera fondandola sul miracolo, sul mistero e sull'autorità". «Queste parole di Dostotevski - adesso è Mancuso che parla - vanno a cogliere alla perfezione il fondamento della costruzione che la fede cattolica è andata erigendo nei secoli». Il Cattolicesimo ha imposto l'obbedienza in luogo della coscienza. Dopo tanti secoli, bisogna riprendere l'opera dei grandi teologi che hanno richiamato i credenti all'ascolto della coscienza. Facendo questo, e uscendo dall'obbedienza alla Chiesa, tutti quei pensatori distribuiti lungo i secoli, sono caduti nell'eresia. L'eresia è la strada per il recupero della coscienza. Mancuso rivendica l'ereticità di questo e di altri suoi libri come percorso salvifico e benefico per l'umanità. Ma come reagisce al sermone dell'Inquisitore il Cristo prigioniero? Si alza dalla panca, lo abbraccia e lo bacia. Per Mancuso, quel bacio vuol dire che non è l'Inquisitore il vero colpevole, perché egli è solo un funzionario della struttura. Gesù vede che "il vero prigioniero è proprio il suo carceriere", e ne ha pena. Quella Parabola io ricordo un illuminato cristiano (non cattolico), Franco Fortini, spiegarla come segue. L'Inquisitore dice: abbiamo impiegato secoli e secoli per costruire un ordine nel quale l'umanità soffra e muoia senza impazzire, le abbiamo dato una verità, non possiamo permettere che sprofondi nel dubbio, che è il massimo dolore che si possa patire in terra; perciò domani io ti brucerò. Il prigioniero, che si alza e abbraccia e bacia colui che lo imprigiona, sta a dire che non condanna il sistema che lo imprigiona, ne riconosce l'ineluttabilità storica e morale. A questo punto Fortini faceva un salto tremendo, e le sue conclusioni erano, e sono, inintelleggibili nella loro sublimità. Sono tre: Cristo è venuto, anche se non fosse mai venuto; ha detto quel che noi crediamo che abbia detto, anche se avesse detto tutto il contrario; non tornerà, neanche se tornasse. Torna infatti, nella Parabola, ma tutto resta come prima. La questione si chiudeva così. Mancuso, ad ogni suo nuovo libro, la riapre. Con questo più che mai. Perché con questo afferma lo scontro fra obbedienza e coscienza, fra dottrina e bene: se scopo della vita è fare il bene, è anche lasciar perdere la dottrina.

I suoi libri sono gioiosi e trionfali per i non cattolici, atroci e dolorosi per i cattolici. E questo più degli altri.



Vito Mancuso, Obbedienza e libertà, Critica e rinnovamento della coscienza cristiana, Fazi editore, 2012, pagg. 208, euro 15,00.

 

www.ferdinandocamon.it

 

 
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