Il cerchio infinito
L'introduzione dell'autore
Penso che
prima ancora del mistero della vita l'uomo si sia trovato di fronte a quello
della morte.
Immagino
il primo ominide, sgomento, atterrito, a fianco di un suo simile che non si
muoveva più e da allora quell'unica certezza che la vita non era eterna ha
indotto a pensare che potesse esistere qualche cosa, magari di diverso, oltre
la morte.
Fiorirono
le religioni, cercando di dare risposte certe, tuttavia senza possibilità di
riscontro.
Il
problema è che l'uomo, per sua natura, tende a ridurre ogni cosa alla sua
dimensione.
Lo stesso
è stato per il tempo, un concetto sempre ritenuto assoluto, ma che non lo è,
perché le 24 ore sono un giorno per un terrestre, ma sono una vita per un
insetto.
Analogamente
si è proceduto per la distanza, onde misurare ogni estensione necessaria ai
suoi bisogni, ma quando si sono rivolti gli occhi al cielo, quando gli studi ci
hanno rivelato l'esistenza di altri mondi, di altre galassie, la distanza ha
perso il suo significato, perché era inconcepibile cercare di misurare qualche
cosa che non aveva fine, e allora si è coniato il termine di infinito.
La vita,
nel suo mistero, il tempo, nella sua incertezza, la distanza, nella sua
imperfezione, sono il tema di questa silloge.
È un tema
unico, perché nell'universo tutto è infinito e nulla è lasciato al caso: il
tempo, lo spazio, e, lasciatemelo credere, anche la vita.
Se esiste
l'anima, scintilla che fa scoccare l'esistenza, questa non può finire con il
corpo e quindi è eterna.
È una
teoria, un sogno, ma anche io sono un uomo e non sfuggo alla logica di ridurre
alla mia piccola dimensione la risposta alle domande fondamentali.
Credo,
comunque, che non avremo mai certezze e questo è un bene, perché altrimenti,
comprendendo il perché della vita, questa probabilmente non ci interesserebbe
più.