Il
sentiero delle cascate: da quella di Folgorida a quella del Matarot
di
Renzo Montagnoli
Già
ho parlato delle prime due cascate che si incontrano in Val di Genova
partendo dall’abitato di Carisolo (qui),
vale a dire quella del Nardis e quella del Lares, ma ce ne sono
ancora altre, tanto che il sentiero che le congiunge è
chiamato il Sentiero
delle cascate.
La strada, carrozzabile, per avvicinarsi a questo splendido
itinerario è sempre la stessa, cioè quella che a
Carisolo, lasciata la Val Rendena, si addentra in quella di Genova e
che in
pratica è
liberamente
percorribile fino quasi alle Cascate del Nardis, che sono alla
sinistra del bacino idrografico del Sarca. Un po’ prima di
avvistare questa cascata c’è una serie di parcheggi a
pagamento, ma anche per percorrere da lì la strada fino in
fondo alla valle occorre pagare un pedaggio (vi è pure un
servizio di bus navetta). Comunque per poter visitare la cascata del
Lares occorre proseguire lungo la carrozzabile fino a Ponte Maria,
dove si può lasciare l’auto in parcheggio e imboccare,
ovviamente a piedi, il sentiero delle cascate. Posto che abbiamo già
visto quella assai bella del Lares proseguiamo per scoprire le
successive; la prima che si incontra, lasciando brevemente (per circa
5 minuti) il percorso principale per
addentrarci
in val Folgorida, è appunto l’omonima cascata,
alimentata dall’acqua disciolta del ghiacciaio di Folgorida,
ormai in stato di avanzato esaurimento e, poiché
l’alimentazione non deriva da un laghetto di fronte glaciale in
cui le acque possano decantarsi, i sedimenti trasportati portano a
una caratteristica colorazione caffèlatte nel corso dei mesi
più caldi dell’estate. Ritornati sui nostri passi, vale
a dire sul percorso principale, c’è da fare un po’
di strada prima di arrivare alla cascata successiva, che è
quella di Casina Muta. Questa non è possente come la
precedente, anzi è più modesta, però il contesto
naturale in cui si trova dona un’atmosfera magica, tanto che
non ci si meraviglierebbe se dalle acque che precipitano dovessero
emergere degli Elfi. Da lì e un bel po’ più
avanti, sulla sinistra del Sarca c’è la Val Gabbiolo con
l’omonima cascata, che per ammirarla presuppone però che
ci addentriamo non poco, ma sicuramente ne vale la pena perché
questo salto d’acqua, che prende il nome dal monte Gabbiolo che
si trova vicino alla cima Presanella, è costituito da un velo,
tanto sottile quanto etereo, una visione che si avverte sublime in un
contesto naturale a dir poco unico. Ritornati sul percorso principale
ci incamminiamo sulla destra del Sarca per incontrare una cascata che
non è così nota, ma che, oltre a essere la più
alta della valle, per alcuni, e anche per me, è la più
bella. Mi riferisco a quella alimentata dal torrente che scende dal
monte Pedruc, da cui prende il nome. Fra l’altro la vista si
presenta notevolmente ampia grazie alla passerella da poco
ricostruita che unisce i due lati del canyon che forzando l’acqua
dà vita alla cascata. E’ un salto di un’ottantina
di metri che l’escursionista vede in tutta la sua
spettacolarità utilizzando proprio la passerella. Se poi
intendiamo proseguire, ritornati sul percorso principale ci attende
una deviazione a destra (e quindi lasciando il torrente Sarca alla
nostra sinistra) in Val Cercen, una laterale da risalire per poter
ammirare le cascate appunto del Cercen, alimentate dai nevai della
Busazza e del passo Cercen. Credo che arrivati a questo punto la
stanchezza si faccia sentire e che occorra una sosta, o anche
addirittura un pernottamento se necessario al vicino rifugio Bedole,
il cui nome completo è Rifugio Adamello Collini al Bedole. Ma
chi era Adamello Collini? Adamello Collini fu una guida alpina, ma
soprattutto un eroe della Resistenza, morto il 12 febbraio 1945 a
Melk, un sottocampo del più famoso lager di Mauthausen.
Durante la seconda guerra mondiale aiutò centinaia di
disertori tedeschi e prigionieri angloamericani ad attreversare gli
immensi ghiacciaiai dell’Adamello e della Presanella per
scendere al Tonale e da lì passare in Svizzera. Fu sicuramente
tradito da qualcuno al corrente di questa sua attività e fu
colto in flagrante da un gruppo di SS travestiti da soldati tedeschi
disertori che si presentarono a lui per il passaggio. Incalzato dalle
stringenti domande del comandante SS Schwarz rispose
semplicemente:”Non
sono a conoscenza del Codice di Guerra, ma, qualora lo conoscessi, al
di sopra di questo Codice vi è una Legge che, anziché
proibire, ordina di ospitare, in questi luoghi selvaggi, chiunque
chiede aiuto. E’ la Legge di Dio!
“.
Il rifugio, sito a 1.640 m. s.l.m., è direttamente condotto
dai suoi discendenti e non è il tipico e spartano rifugio
d’alta montagna, presentando anche caratteristiche alberghiere
per un turismo residenziale. Da lì, ristorati da un buon cibo
e riposati si può prendere il sentiero che porta all’ultima
cascata, probabilmente la più spettacolare. Arrivati al Ponte
delle Cambiali, che valica una forra assai profonda, si risale a
sinistra la Val di Genova lungo un percorso a gradoni, raggiungendo
in 20-30 minuti Màndra Mataròt. Lì si trova una
grandiosa distesa di larici secolari e se lo sguardo corre verso
l’alto ecco apparire il ghiacciaio della Lobbia da cui scende
un muro d’acqua che è la cascata del Màtaròt
alla quale si può arrivare nel giro di 40-50 minuti. Poi se
qualcuno vuole proseguire può arrivare ai circa 3.000 metri
del Rifugio Lobbia Alta “Ai caduti dell’Adamello”,
ma quella è un’altra storia, un’altra escursione
per la quale occorrono allenamenti un po’ più idonei.
Fonti:
Soprattutto
il Sito del Parco Naturale Adamello Brenta, ma anche altri del web
che parlano della val di Genova, così come per le fotografie a
corredo che rappresentano nell’ordine, dall’alto in
basso, le cascate di Folgorida, di Casina Muta, di Gabbiolo, di
Pedruc, di Cercen, di Mataròt, la cartina della Val di Genova.
|