L'oro di Napoli, di Giuseppe Marotta, edito da BUR e recensito da Laura Vargiu
L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta – Bur – Pagg. 259 – ISBN 9788817010917 - Euro 9,00
La pazienza vale oro
“La
possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta; una remota,
ereditaria, intelligente, superiore pazienza. Arrotoliamo i secoli, i
millenni, e forse ne troveremo l’origine nelle convulsioni del
suolo, negli sbuffi di mortifero vapore che erompevano improvvisi,
nelle onde che scavalcavano le colline, in tutti i pericoli che qui
insidiavano la vita umana; è l’oro di Napoli questa
pazienza.”
Che grande narratore, Giuseppe
Marotta!
Penna estremamente prolifica e versatile, l’autore
campano tardò inspiegabilmente a riscuotere credito
nell’ambiente letterario e riconoscimento di pubblico, fino
alla pubblicazione, nel 1947, della raccolta “L’oro di
Napoli”, opera che se non è un capolavoro, poco ci
manca. Capolavoro di contenuto e, ancor più, di stile.
È
la prosa, infatti, che cattura il lettore fin dalle primissime
pagine, con il suo linguaggio così arguto, ricco di
sorprendenti accostamenti semantici e guizzi vivaci, intriso non meno
di una certa malinconica poesia. Napoli, la città
dell’infanzia e della giovinezza di Marotta, è la
protagonista indiscussa di queste pagine: come un grande e
sconclusionato palcoscenico, essa mette in scena una assai folta e
variegata umanità, quella che popola i caratteristici “bassi”,
dove la vita spesso fatica a vivere e deve pertanto ricorrere alla
sopraffina arte dell’arrangiarsi per sbarcare il lunario; dove
il titolo di “don” non si nega nemmeno a un povero
ciabattino; dove la fame si riempie la pancia coi lupini o, se si è
fortunati, con il pane condito con olio e sale.
Trentasei
racconti, trentasei piccole storie per un’opera corale di
impeccabile neorealismo. Uno straordinario affresco di Napoli, e
della sua gente dal multiforme ingegno, che prende le mosse dalle non
felici vicende familiari dello scrittore stesso per poi aprirsi, pian
piano, ai vicoli, alle piazze, ai quartieri della palpitante città
partenopea, tra guappi, jettatori, nobili caduti in rovina,
vetturini, mariti irreparabilmente in odore di corna, venditori di
sberleffi e di saggezza.
Nel 1954 il grande Vittorio De Sica
girò l’omonimo film a episodi tratto da questo libro:
chi non ricorda il banchetto della pizzeria da asporto (“Mangiate
oggi e pagate fra 8 giorni”) presso cui una giovane e
ammaliante Sophia Loren era intenta a impastare pizze prima di
accorgersi di non avere più al dito l’anello regalatole
dal geloso marito?
“Donna Sofia trasalì,
ripensando fulmineamente al marmo azzurro del comodino su cui la sera
innanzi aveva dimenticato il gioiello.
«Mi sarà
sfuggito mentre impastavo» disse a caso. «Ah Rosario,
sarà in qualche pizza.»”
Laura Vargiu
