Bagheria, di Dacia Maraini, edito da Rizzoli e recensito da Siti
Accettazione
Dopo
la lettura del romanzo breve “L’età del
malessere”, il secondo scritto di Dacia Maraini, ho pensato di
approfondirne la conoscenza della scrittrice con questo titolo ben
più noto, apparso nel 1993, quindi ben trent’anni dopo
il precedente. Pensavo precedesse “ La lunga vita di Marianna
Ucrìa” - testo al quale è strettamente collegato
- convinta per un buon procedere nella lettura che ne fosse quasi il
documento preparatorio, per scoprire poi che lo segue di tre anni. Il
legame fra i due testi è dato dal fatto che nella villa
Valguarnera a Bagheria era custodito un ritratto della “mutola”
ava della scrittrice, Marianna Ucrìa appunto, e questa villa
rappresenta, nell’economia di questo breve scritto
autobiografico, il perno della narrazione. Lì giunge infatti
bambina Dacia Maraini, ospite dei nonni, con la sua famiglia, di
ritorno dal Giappone nel 1947, dopo aver patito la fame più
nera in un campo di concentramento nel quale erano stati internati in
seguito al rifiuto del padre Fosco e della madre Topazia di aderire,
come richiesto dai giapponesi, alla Repubblica di Salò.
La
narrazione affascina fin da subito permeata com’è dalla
materia biografica e capace di intrecciare in maniera sapiente due
secoli, l’Ottocento nobiliare siciliano e il Novecento breve e
intenso, racchiuso tra le due guerre mondiali. É come se la
Maraini fosse la cerniera fra le due epoche: due genitori intrepidi,
uno il grandissimo Fosco, studioso, alpinista, antropologo,
scrittore, l’altra, Topazia Alliata di Salaparuta, discendente
da una nobile famiglia palermitana. E lei - Dacia - nel mezzo,
combattuta, dopo aver per lungo tempo patito questa discendenza, vuoi
per lo stretto legame con la figura paterna, sfuggente e tanto amata,
vuoi per lo spirito ribelle della nuova generazione che si
riconosceva piuttosto appartenente a un nuovo modello borghese.
Fatica la narratrice a tenere il filo della memoria, continuamente
spezzato dalla mancanza del padre che abbandonò moglie e
figli, e ricamato dal recupero non solo di un tempo, ormai trascorso,
ma come detto prima, sul finire degli anni ‘40 del ‘900
ancora abbarbicato su vetusti pinnacoli nobiliari, ma anche di una
geografia mutata. La Bagheria degli anni ‘90 custodisce una
villa irriconoscibile, deturpata come le altre, numerose nei paraggi,
da spazi urbani violenti e mafiosi capaci di sventrare i meravigliosi
giardini che le circondavano per cedere il passo, fra tanti, ad
un’autostrada sotto casa, a palazzoni di grigio cemento, a un
improbabile liceo. E intanto l’ultima zia nobile ad abitare la
villa racconta e lascia che sia apra quella porta della memoria che
permette a Dacia di riappropriarsi del suo passato siciliano senza
sentire più il peso della radice mafiosa nei vecchi retaggi
nobiliari. Interessante.
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