Implicita missione, di Claudia Piccinno, edito da Fara e prefato da Emanuele Aloisi
Implicita missione – Claudia Piccinno – Fara – Pagg.80 – ISBN 978-88-9293-027-8 – Euro 12,00
Prefazione
Oltre il rumore
Già nel titolo dell'ultima raccolta poetica – Implicita missione. La fotosintesi della memoria – emerge il tema dominante dell'autrice. In una eterogenea e variopinta circolante e circolare definizione della poesia, l'autrice ne riconferma la “missione implicita” in quell'ascolto di una voce proveniente da “un varco all'orizzonte” che solo in parte sa di montaliana memoria. Claudia si appella all'oblio e al cielo che rischiara, poiché sente il bisogno di eliminare tutto il rumore di una realtà apparente e virtuale pietrificante, per arrivare a sentire, ci rivela, il tocco di una “quieta mano / che sulla mia si posa”.
La razionale coscienza dell'oblio e della necessità salvifica della tabula rasa si materializzano nel non celato bisogno di silenzio, al punto che la poetessa dichiara di predispor(si) ad esso, consapevole che “tutto il resto è rumore”. Ha bisogno di silenzio, il poeta, per appellarsi a qualcosa/ qualcuno che gli dia la voce, e nella materia della voce dia la forma di una creazione, una creatura
da partorire, come il mistero della poesia prevede.
In questa breve raccolta, composta di quattro sezioni, Poesie varie, Haiku, Tautogrammi e Dediche, la poetessa dà prova del suo ascolto e del potere di plasmare un verbo, fino a raggiungere la lucentezza della pietra e la profondità della notte, così come ha già fatto nella precedente silloge Sfinge di pietra. Conoscitrice della materia, ne plasma eterogenee forme da cui emergono mosaici di imprevedibili e impreviste immagini, attraverso l'uso sapiente di versi, in cui classicità e modernità si fondono, così come l'armonia con le spezzate parentesi di note irriverenti (altra silloge della poetessa) (…) Dammi, mio Dio, il potere dell'attesa immaginata, quella che anticipa il finale senza imbiancare il crine. Dammi, mio Dio, la visione illimitata di Cassandra,
la perspicacia di Aspasia, il sapere di Ipazia, il coraggio di Giovanna. Dammi, mio Dio, l' innocenza del matto il passo del felino il brillare delle lucciole la lungimiranza della lince la regalità dell'aquila.
La poetessa invoca Dio (Dammi mio Dio) nel flashback di un finale anticipato affinché possa dar voce al suo silenzio vitale, con la quale narrare gli ulivi, gli invisibili e l'amore.
E la missione implicita della poesia di Claudia diventa consapevole strumento di amore e difesa nei confronti della donna, di quella che non c'è più (Negar Banu uccisa dai talebani). Con la sintesi poetica e i puzzle in versi ed evocatrici
metafore di cui è capace, del substrato culturale e antropologico di cui è pregna, di quello teologico e multietnico, diventa cosciente e coraggioso strumento di responsabilizzazione e sensibilizzazione civile contro il boia, che ha sempre origine da un grembo. Diventa portavoce di chi vive sofferenze, come un malato oncologico, dimostrando di averne esperienza nella speranza della scienza, così come nella attesa disattesa di un tempo, che va vissuto
quanto più scorre sul resiliente muschio della felicità (Libera mens in corpore sano).
Cosciente del tempo e del crine che s'imbianca, della fluidità della rumorosa esistenza, nella poesia l'autrice ritrova una sosta, e in essa e con essa il dovere di essere punto di luce, di essere bucaneve capace di “resistere al grigiore dei
giorni e non arrendersi all'inverno che avanza” (Il bucaneve).
Come in “un fiume”, “lascia che sia / ciò che verrà, verrà in silenzio / senza clamore, senza rumore”.
Da qui la coscienza della poesia, che, nata dalla capacità di ascolto, e dal silenzio sopraggiunto dopo la tabula rasa, porta inevitabilmente a esprimersi e condividere la missione creatrice, poiché “Rifuggire / astenersi / inibirsi. // [È]
Imperativo categorico dell'infelicità”.
Ma la poesia è parola che s'incarna nella realtà che il poeta vive, soprattutto la propria, nell'acqua della propria vita. Ed è per questo che, nel percorso elioterapico, diventa inconsapevole altare della sua offerta, del dono degli affetti e dei ricordi.
È la lirica della fotosintesi di una memoria in cui ogni lettore può ritrovarsi.
Senza inabissarsi nel troppo detto di un'amorfa prosa denotativa, o dei suoi logici sintagmi, la poesia di Claudia si costituisce di creative trasparenze linguistiche, di un fluido e ritmico verseggiarein cui a tratti guizza la tecnica del correlativo simbolico-evocativo. Gli amici e le persone amate sono ulivi d'argento, e i loro volti porcellane cristalli e argenti intrisi della polvere del
vissuto. Ragnatele senza tempo i capelli di una madre sulla spazzola. Il padre è odore di arance tra le mani della poetessa, intenta a riviverlo in una sinestetica corrispondenza di amorosi sensi. L'ossessione delle radici – per come scritto
dall'autrice – non offre “scadenza né vuoto a rendere” e la memoria è un'ancora di salvezza, ciò che di immobile resta nell'anima, in un futuro in divenire, in un presente “appeso al filo”, ma capace di creare, nella poetessa e nel lettore, “l'inatteso innesto di affinità e stupore”.
Emanuele Aloisi
