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Senza gravità, di Marilina Giaquinta - Samuele Editore

Senza gravità, di Marilina Giaquinta - Samuele Editore

Senza gravità

di Marilina Giaquinta

Samuele Editore

Poesia

Pagg. 186

ISBN 979-12-81825-30-7

Prezzo Euro 15,00

Versione online Sbac! Prezzo Euro 7,00


La vita è un gioco, senza garanzia di fondamenti rassicuranti, ma in grado comunque di dare forma, come la “forma sfericache tanto riesce evocativa e simbolica – “pensate alle romantiche gocce di pioggia” –, pur non essendo riferibile che “alla tensione superficiale: / e cioè all'insieme di forze interne / tese a trovare lo stato / di minima energia possibile”. Ma l'ordine giocoso della vita, e che le leggi di natura ci ricordano, è lo stesso che intesse i rapporti d'amore, finalmente intesi al di fuori di ogni atmosfera e ideologia sentimentale. Amore è riportato qui, nel lavoro poetico, a un pathos fondamentale che è anche un patto con la natura. Da questo punto di vista è senz'altro utile ricordare una delle più riuscite metafore della raccolta, che coniuga un rapporto emblematico tra l'umano abbraccio amoroso e l'avanzare nel buio della talpa stellata. Il piccolo mammifero, che nel corso dei suoi tentativi evolutivi ha sviluppato sul muso una stella formata di innumerevoli tentacoli – analoghi alla innervazione sensoriale delle nostre mani – permette alla poetessa questa bella metafora: “Per questo dovremmo usare le mani / per vederci dovremo chiudere / gli occhi per cercarci dovremo / usare il buio per scorgerci / dentro le nostre braccia stellate”.

L'amore non è per nulla qui circoscritto all'ordine del rapporto sentimentale, ma si correla a una originaria relazione con l'altro. Ma se è questa relazione a innervare la poesia, al tempo stesso la poesia non può non porsi che a difesa di essa.
Qui si scopre il passaggio etico, e più impegnato, del libro, venendo in luce un'etica dell'“estrema e disperata resistenza” rispetto all'
epoca della povertà. La parola che eccede per definizione non può non antagonizzare – “con la poesia si possono cambiare le cose modificare / il modo di pensare” – quell'inferno dell'uguale che siamo diventati: “pregiudizi che cerchiamo dove ci fa comodo”, “vuoto e accomodante conformismo”, “finto buonismo” oltre che “certa tautologica verbosità politica”.
In breve, il nostro tempo – “
questo tempo / che sto vivendo non mi piace” – è caratterizzato dall'oblio della negatività ossia di quella mancanza necessaria al costituirsi delle differenze e che le espone in tensione dinamica tra loro. Senza il “dubbio” e il “conflitto” non c'è – dice, anzi grida la poetessa: “voglio dirlo urlarlo pubblicarlo” – relazione. Il “conflitto” però nulla ha a che fare con la aggressività gratuita o “l'odio”, non essendo “che la consapevolezza del nostro limite / per imparare a ricondurre dentro di noi / l'altro”. L'altro a rigore “non esiste se non lo riconosciamo”; e a rigore di poesia: “se non esiste allora finisce che lo mettiamo di / nuovo dentro i lager!

A una poesia tanto ispirata dalle “pene della mancanza” ossia dal pathos per la vita che la stessa scienza ci insegna – “siamo sistemi complessi processi discontinui anche se ci raccontiamo unitari” –, una dimensione di “profezia buona” è sempre possibile. In altri termini un “feroce bisogno d'amare” torna ad affermarsi, proprio mentre un senso di rispetto/giustizia viene affidato a parole di ammonimento che sembrano scritte per essere mandate a memoria: “Miserabile è chi crede di / vivere senza rendere il conto / che crede che niente costi e si paghi canaglieria a / buon mercato […] a nessuno è permesso il male / nessuno racconta e ottiene. / L'impostura è piena di tormento”.
Poetessa impegnata e sperimentale più che antilirica, siciliana nella “grana della voce”, oltre che nelle formule lessicali e nell'ethos isolano dichiarato, la Giaquinta non può che colpire, con questa silloge, per l'autenticità della voce mai autoriferita e invece 
aperta e senza riparo.

Marco Marangoni

 
 
Scriveva Newton
che le comete lontane
“si attirano mutuamente
in misura minima”
ma si attirano
anche se poste a una
“distanza immensa fra di loro”.
 
Tuttavia la forza di gravità
attrae a sé ma non allontana
non ci riesce e non lo sa fare.
 
E così è il ricordo
(è una forza che attrae
e non sa e non può allontanare)
anche se somiglia
a un vortice cartesiano
immerso in un cielo fluido
particelle di memoria
“in un grandissimo numero”
che nel caos della mancanza
girano intorno al proprio centro
e tutte insieme attorno al punto
che le unisce tutte
che è l'ombra del tempo.
 
 
 
 
Sono stati giorni facili
abbiamo riempito il tempo
(qualcosa che scorreva
e che sembrava sottrarci
senza la nostra opposizione)
con tutto quello che avevamo
disponibile a portata di mano
e che non avevamo ancora usato
un'inaugurazione di buoni propositi
senza però l'impegno del pensiero
e sopratutto della parola forte
con l'urgenza buona del silenzio
quando la vita diventa un ordine
che non si può non eseguire
incapaci di trovare un'altra ipotesi.
Abbiamo lasciato andare
tutto quello che avevamo conservato
dentro il vuoto della mancanza
che a sentirlo sembrava caldo e pieno
come il campo di Higgs dell'Universo
una mancanza qualsiasi
una di quelle che ci vogliono
molti e perseveranti tentativi
per arrivare a provarla e ad agirla
a distinguerla in mezzo a tutte le cose
che confondono e che non guariscono
la privazione che la vita si prende
senza mai restituire neanche i resti
senza concedere prescrizione
o garanzia per evizione ai nostri errori.
 
 
 
 
In fisica si chiama “anisotropia”.
Questa lingua di scienza
crea parole crudeli
con la scusa del greco
e incute il timore
della stessa comprensione.
Eppure il significato è semplice.
Una grandezza si dice anisotropa
quando il suo valore
dipende dalla direzione considerata
e quindi ha valori diversi
nelle diverse direzioni spaziali.
Studiando gli stormi
degli storni che annerano
il cielo di Roma
coi loro dischi volanti
il nostro Premio Nobel
ha verificato che l'anisotropia
diminuisce con la distanza.
Fin qui niente di nuovo:
la fisica è abituata
a interazioni che
dipendono dalla distanza.
Tuttavia – si sa – i Premi Nobel
sono testardi nella ricerca
e osserva che ti osserva
si è accorto che l'interazione
è sempre con i più vicini
e che l'interazione non dipende
dalla distanza assoluta delle coppie
ma dai rapporti relativi delle distanze.
Forse adesso è chiaro
perché ho scomodato un Premio Nobel
che studia i sistemi complessi
per parlare d'amore?
(e d'altronde dove lo trovi
un sistema più complesso dell'amore?)
Anche noi ci regoliamo
– come il volo degli storni –
sulla posizione dei vicini
ed è per questo che stare lontani
ci fa perdere la rotta
ci fa sbandare ci fa sbattere
e cadiamo in caduta libera
nel vuoto senza cielo
alla faccia della costante di gravità
qualunque sia la massa o il peso
dell'amore che ci sostiene.