La valle dell'orco, di Umberto Matino, edito da Foschi e recensito da Alberto Carollo
La valle
dell'orco
di Umberto Matino
Foschi Editore
Narrativa romanzo
Pagg. 312
ISBN 978-88-89325-15-5
Prezzo € 13,00
Apprezzato
da Eraldo Baldini, che ne ha proposto la pubblicazione presso l'editore
forlivese Foschi e ne ha pure scritto la prefazione, La valle dell'orco è un singolare caso
di longseller “locale”. A distanza di quattro anni e dopo tre ristampe le copie
vendute hanno superato le 10 mila. Chi lo ha letto lo ha consigliato a parenti
ed amici, che a loro volta lo hanno consigliato ad altri lettori e così via.
Potenza del passaparola.
«Volevo pubblicare», racconta Umberto Matino (classe
1950, dirigente di una società di ingegneria; vive e lavora tra Padova e
Venezia), «qualcosa sull'origine cimbra della Val
Leogra, descritta in molti testi di storia locale ma cancellata dalla memoria
delle comunità che vi risiedono nell'arco di una generazione. Non volendo scrivere
un saggio storico, ho preferito utilizzare il giallo come strumento narrativo
per un pubblico più vasto». E sembra aver visto giusto.
In effetti la lettura de La valle dell'orco ci ha convinti ed intrigati, nel
complesso, perciò ci uniamo al coro di chi lo ha caldeggiato, per una serie di
buoni motivi.
«Appeso
alla tettoia che copriva la grande vasca, il corpo del dottore era
perfettamente immobile, irrigidito dalla morte.» A
dare il LA alla vicenda è il ritrovamento del cadavere impiccato del dottor Aldo
Manfredini, apparentemente suicida, un quarantenne che
a metà degli anni Ottanta aveva scelto di lasciare la sua casa di Padova e
l'ospedale in cui lavorava per ritirarsi a Contrà Brunelli in Val Leogra, una
contrada sperduta sui primi contrafforti della montagna veneta, nell'ombra per
buona parte dell'anno, con strade impervie, senza servizi e negozi, senza radio
e TV. Il mondo che Manfredini scopre è fatto di paesaggi che mozzano il fiato,
di pace e di silenzi, di ascolto interiore. Ma anche di filò
accanto al fuoco, attorniato dai singolari autoctoni che abitano quelle valli,
silenziosi e coriacei come pietre. L'amico Carlo Zampieri viene informato
di essere stato nominato erede universale nel testamento e quindi proprietario
della casa che Manfredini aveva costruito in Contrà Brunelli. Sistemando gli
effetti personali del medico defunto, Zampieri incappa in una lettera, nascosta
a dovere («Caro Carlo, se tu stai leggendo queste pagine vuol dire che qualcosa
di veramente grave mi è successo») assieme al diario in cui sono descritti i
suoi ultimi mesi di vita.
Il
diario viene presentato al lettore in forma integrale e costituisce l'aspetto
più succoso e pregnante del libro. Vengono introdotti, in ordine di
coinvolgimento nell'intreccio, i residenti della contrada rovèrsa, le personalità, le
caratteristiche individuali, le dinamiche di relazione che vengono ad
istituirsi tra loro e con il dottore foresto.
Alcuni personaggi si staccano dalla pagina per imprimersi indelebilmente nella
memoria: è così per Piero Ongaro, poeta-contadino, declamatore di versi e
amante di Lucrezio; e ancora l'umile e sfortunato Bortolo Sterchele; Don Barba,
al secolo Giovanni Barbarena, l'arguto parroco
ultranovantenne, sensibile al nettare di Bacco ed ai piaceri della buona
tavola; Romilda Brunelli, figura di arcigna matriarca che ospita nel tepore
della sua cucina, le domeniche pomeriggio d'inverno, la vita sociale di quel
minuto gruppuscolo di valligiani. È qui, di fronte al focolare, con un
bicchiere di vino tra le mani, che Manfredini ascolta storie curiose, apprende
di riti e tradizioni dimenticate, di creature mostruose da leggenda popolare
come gli orchi e le anguane, di misteriose e inquietanti filastrocche cimbre e
di molte morti strane per essere considerate del tutto accidentali.
La
prosa scorrevole ed i calibrati interventi dialettali di Matino danno
consistenza all'impasto de La valle
dell'orco, romanzo che si stacca dal solco del giallo canonico per
acquistare un plusvalore; nel diario del dottore e nella successiva impresa dei
protagonisti, impegnati a scavare negli archivi polverosi della curia e tra
antiche mappe catastali si delinea un interessante affresco storico. I singoli
omicidi succedutisi in quelle comunità, liquidati frettolosamente dalle
autorità come incidenti o suicidi, si annodano a filo doppio con l'evoluzione
economica e sociale della zona. Un peso determinante avrà la cancellazione
della memoria storica dell'origine cimbra della Val Leogra dopo
Noi
avremmo preferito una maggiore attenzione all'editing, che avrebbe potuto
sfrondare qualche lungaggine. I colpi di scena non mancano: a parte qualche
vistoso rallentamento, dovuto alla eccessiva
diluizione della narrazione nel corpo centrale del libro, la scrittura serra le
fila per procedere inesorabile fino all'ultima pagina, inchiodando il lettore
alla poltrona. Perdoniamo a Matino, qui al suo romanzo d'esordio, pure lo
scivolone del dialogo tra Zampieri e lo psichiatra, il dottor Greselin,
tassello fondamentale per giungere all'individuazione dell'orco di Contrà
Brunelli ma gestito in maniera ingenua e improbabile dal punto di vista della
verosimiglianza.
La
valle dell'orco è
anzitutto un romanzo di caratteri, vivi e concreti, un romanzo d'atmosfera che
ha il respiro arcano delle nostre radici, – e qui parliamo da veneti -, le sue
superstizioni e paure, le sue pratiche ancestrali, la vita di fatiche e
privazioni, di miseria e disperazione dei nostri avi, legati indissolubilmente
alla terra dove sono nati e cresciuti.
