Cent’anni
di solitudine
di
Gabriel Garcia Marquez
Arnoldo
Mondadori Editore S.p.A.
Narrativa
Pagg.
378
ISBN
9788804675983
Prezzo
Euro 14,00
La
solitudine di ogni uomo
José
Arcadio Buendia, capostipite di una stirpe numerosa, lascia il
villaggio in cui è nato per sfuggire a un fantasma da cui è
continuamente perseguitato. E così, dopo un lungo e
avventuroso viaggio in compagnia della moglie, nonchè cugina
Ursula, incinta del primo erede e terrorizzata per i vincoli di
familiarità che la legano al marito e dalla possibilità
di partorire un bimbo con la coda di maiale, arriva in una località
in cui fonderà un paese felice, dove nessuno era più
vecchio di trent’anni e dove non era mai morto nessuno. Lì
a Macondo, il nome dato al paese, nasce Aureliano, senza coda di
maiale, il primo a vedere la luce in quella località e che in
futuro diventerà un colonnello leggendario, alla guida di una
rivoluzione liberale in cui combatterà 32 guerre, perdendole
tutte, e che finirà i suoi giorni nel suo laboratorio a
fabbricare pesciolini d’oro, per poi rifonderli e ricominciare
da capo, in perfetta sintonia con la caratteristica della dinastia di
fare per disfare.
Questa
è, per sommi capi, la trama del più famoso romanzo di
Gabriel Garcia Marquez, un intreccio in cui sogno e realtà si
confondono e si fondono, con un’atmosfera fiabesca calata in un
mondo che ben conosciamo essendo il nostro, un mondo in cui ogni cosa
appare al contempo normalissima e prodigiosa.
E’
un aspetto questo che secondo me molto ha contribuito al successo di
un romanzo che non si esaurisce in una originale, stilisticamente,
coesistenza di prosa e poesia, perché in realtà si
presta a più piani di lettura. Al riguardo basti pensare che
la saga dei Buendia può essere vista in chiave allegorica come
una rappresentazione dell’umanità con richiami perfino
ad atmosfere dell’Antico Testamento. Infatti, il paese di
Macondo alle sue origini, in cui nessuno moriva e nessuno in pratica
invecchiava richiama molto il Paradiso terrestre e Josè
Arcadio Buendia, divorato dalla sete di conoscere, potrebbe essere
benissimo Adamo, e del resto la fine di questo Eden ha un che di
apocalittico da richiamare quasi il Giudizio universale. Io tuttavia
amo un’altra interpretazione di questo romanzo per via dei nomi
dei vari José Arcadio e Aureliano che si ripetono molteplici
volte, tanto da ingenerare confusione, ma a significare una
circolarità dell’opera e in pratica del destino e della
vita. Tutto si ripete, un mondo di nascite e di morti, in cui piccole
fiammelle di vita brillano per un istante nell’eternità,
per poi spegnersi al primo soffio, e nella moltitudine di esseri
umani accomunati da un unico destino prevale immutabile solo una
condizione, quella della solitudine. Pur in mezzo a tanti, pur nei
rapporti inevitabili, ognuno è e sarà sempre solo, in
ogni luogo, in ogni epoca, perché quello è il suo
destino.
Cent’anni
di solitudine è
indubbiamente un romanzo suggestivo, ma è anche un capolavoro
per quel che dice e per come lo dice.
Gabriel
Garcia Marquez,
scrittore
colombiano Premio Nobel per la Letteratura nel 1982.
Come
giornalista ha soggiornato in Francia, Messico e Spagna; in Italia è
stato allievo del Centro sperimentale di cinematografia.
Ha
esordito con un breve romanzo, dove più evidente è
l’influenza di Faulkner: Foglie
morte (La hojarasca,
1955), cui sono seguiti Nessuno
scrive al colonnello (El coronel no tiene quién le escriba,
1961); i racconti raccolti ne I
funerali della Mamá Grande (Los funerales de la Mamá
Grande,
1962), nei quali, soprattutto in quello che dà il titolo al
volume, è già tratteggiato il mondo mitico e
paradossale del narratore; La
mala ora (La mala hora,
1962), altro romanzo, dove si narra una storia spietata di lettere
anonime che coinvolge un intero paese, e Cent’anni
di solitudine (Cien años de soledad,
1967), considerato il suo capolavoro, centrato sull’immaginaria
ed epica comunità di Macondo.
Fuori
del ciclo macondiano stanno il romanzo L’autunno
del patriarca (El otoño del patriarca, 1975),
torbida e visionaria vicenda d’un dittatore imprecisato, di
segno anch’esso mitico; il racconto lungo L’incredibile
e triste storia della candida Eréndira e di sua nonna
snaturata (La increíble y triste historia de la candida
Eréndira y de su abuela desalmada,
1972); il romanzo breve Cronaca
di una morte annunciata (Crónica de una muerte anunciada,
1981), dove un fatto di cronaca, un delitto d’onore, sembra
rovesciare ogni logica sotto il segno d’un destino emblematico,
tanto spietato quanto capriccioso; il romanzo L’amore
ai tempi del colera (El amor en los tiempos del colera,
1985) in cui si racconta la lunga storia ottocentesca di un amore che
resiste a trent’anni di separazioni e traversie; Il
generale nel suo labirinto (El general en su laberinto, 1989),
ispirato alla vita e agli amori di Simón Bolívar; Dell’amore
e di altri demoni (Del amor y otros demonios,
1994).
Ha
inoltre pubblicato la raccolta di articoli Taccuino
di cinque anni 1980-1984 (1991)
e l’indagine giornalistica Notizia
di un sequestro (Notícias de un secuestro, 1996,
sul rapimento di dieci persone da parte dei narcotrafficanti).
Attraverso disarticolazioni cronologiche e forme fiabesche e
leggendarie, spesso lievitate in pagine di gustoso umorismo, G.M. dà
nelle sue opere una visione complessa e contrastata della
«solitudine» dell’uomo latinoamericano e della
condizione alienata e allucinata del mondo tropicale.
Nel
2001 è uscita la prima parte della sua autobiografia, Vivere
per raccontarla (Vivir para contarla) cui
ha fatto seguito il romanzo Memoria
delle mie puttane tristi (Memorias de mis putas tristes, 2004).
Nel
1982 ha ottenuto il premio Nobel per la letteratura «Per i suoi
romanzi e racconti, nei quali il fantastico e il realistico sono
combinati in un mondo riccamente composto che riflette la vita e i
conflitti di un continente».
Parzialmente
tratto da: Enciclopedia
della Letteratura,
Garzanti 2007
Renzo
Montagnoli
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