Sepolti
vivi.
Monte
Cimone e una mina.
Un
destino crudele
di
Alberto Di Gilio
Edizioni
Gino Rossato
Storia
Pagg.
120
ISBN
9788881301423
Prezzo
Euro 17,00
Guerra
di mine
Durante
la Grande Guerra, quando certe posizioni apparivano imprendibili,
soprattutto in montagna, si ricorse alla guerra di mine, cioè
a uno scavo che portasse sotto la posizione avversaria dove, in una
apposita camera, si ammassava esplosivo, fatto poi esplodere. Il
risultato era sempre spettacolare, con la vetta che cambiava
completamente fisionomia, la conquista della posizione, insomma un
gran dispendio di forze e di esplosivo per impossessarsi spesso di
soli pochi metri. Accadde così il 23 settembre del 1916 per il
Monte Cimone (m. 1.226 slm), la vetta più alta di un sistema
montuoso degradante rapidamente a sud verso Arsiero, nelle Prealpi
vicentine. Alla sua occupazione si attribuiva una grande importanza,
come accadde per il Pasubio, nella convinzione, rivelatasi poi
infondata, che da lì fosse facile scendere nella pianura
veneta. E così il Cimone, prima in mano austriaca, poi in
quella italiana, assumeva i connotati di una specie di porta
oltrepassata la quale si sarebbe potuto scardinare l’intero
apparato difensivo italiano. Rivelatisi infruttuosi e con ingenti
perdite gli attacchi austriaci, questo vennero alla determinazione di
impossessarsi della vetta con una colossale mina. Di questo parla
Sepolti vivi,
un libro di storia, ma raccontato dall’autore con l’agilità
e la capacità di attrazione di un romanzo. Ben strutturato,
c’è una parte propedeutica relativa alla riconquista
italiana del Cimone per arrivare alla decisione austriaca di
impadronirsene con una guerra di mina, dopo i sanguinosi e
infruttuosi contrattacchi; infine c’è la fase vera e
propria dello scoppio e delle conseguenze, non ultime il vano
tentativo di ottenere una tregua per tirar fuori dalla terra i
numerosi nostri soldati ivi sepolti e ancora vivi.
Grazie alle testimonianze di chi era lì, e mi riferisco
soprattutto al tenente Fritz Weber, autore di numerose opere sulla
Grande Guerra, e al cappellano militare austriaco Bruno Spitzl, ma
anche per la capacità di raccontare esprimendo stati d’animo,
timori, angosce dei militari degli opposti eserciti, Alberto Di Gilio
riesce a trasmettere al lettore un sentimento di autentica pietà
per questi combattenti che, oltre al terrore per i bombardamenti, i
tiri dei cecchini e i combattimenti, vivevano in condizioni
miserrime, tormentati dalle pulci, dai ratti, dalla fame e dalla
sete. E proprio questo sentimento di pietà costituisce, al di
là di quello che fu l’evento storico, la sensazione di
partecipazione di chi, come l’autore, non era presente, ma ha
ben compreso quanto dolore si consumasse su quella montagna.
La
documentazione è ampia e ben dettagliata, mentre non mancano,
anzi sono anche abbondanti le foto scattate all’epoca, in un
bianco e nero capace di contribuire a dare drammaticità
all’intero elaborato.
Quindi
Sepolti vivi è
un libro senz’altro meritevole di lettura.
Alberto
Di Gilio è
nato a Parma ma vive a Vigonza (Pd). Laureato in giurisprudenza e in
possesso del titolo di avvocato,
lavora presso la Regione del Veneto. Unisce alla passione per il
primo conflitto mondiale la costante attività di ricerca
documentale nei maggiori Musei, Biblioteche ed Archivi storici
italiani.
Renzo
Montagnoli
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