Chiamate
la levatrice
di
Jennifer Worth
Sellerio
editore Palermo
Narrativa
Pagg.
493
ISBN
9788838931444
Prezzo
Euro 15,00
Dedicato
a chi aiuta a nascere
In
tutta sincerità non avrei mai letto questo libro se non mi
fosse stato segnalato da un amico, che l’aveva particolarmente
apprezzato e che a sua volta l’aveva preso in mano
probabilmente in forza della professione di ginecologo da lui svolta.
Onestamente devo dire che non ero particolarmente entusiasta
dell’idea di leggerlo, temendo, chissà perché,
descrizioni di carattere medico, ma per fortuna non è stato
così; anzi, Chiamate la levatrice, frutto
dell’esperienza maturata in diversi anni dall’autrice in
qualità appunto di levatrice, è un’opera
particolarmente interessante, anche perché, pur essendo basata
su un diario, è stata stilata come un vero e proprio romanzo,
con un “IO” narrante che è appunto Jennifer Worth.
Ambientato
a Londra, nell’Est Side, il porto della città, agli
inizi degli anni Cinquanta, al di là della descrizione degli
eventi, cioè dei parti, di cui l’autrice è stata
protagonista, Chiamate la levatrice è anche un
ritratto impietoso, ma sincero, delle condizioni di vita della povera
gente, inasprite dalle difficoltà economiche conseguenti la
guerra da poco finita. Ci sono descrizioni che richiamano le
situazioni di estrema indigenza così ben descritte da
Archibald Cronin e da Charles Dickens in tante loro opere con la
differenza che i due narratori, pur osservando situazioni reali,
erano ricorsi alla loro vena creativa, cioè inventando fatti e
personaggi, mentre nel caso di Jennifer Worth si tratta di vicende
realmente accadute in cui lei è stata testimone e sovente
coprotagonista.
Il
grigio di una metropoli la cui aria è ammorbata dalle
industrie finisce con il diventare anche quello della vita di tanti
miserabili senza speranza e in quanto tali particolarmente prolifici,
tanto che famiglie con una decina di figli non erano da considerare
una rarità (nel libro ce una donna al suo ventiquattresimo
parto); tuttavia, l’autrice è capace di descrivere
situazioni e personaggi con un senso di autentica pietà e con
un profondo rispetto per ogni individuo, per il ricco e per il
povero, per l’erudito e per l’incolto.
Comunque,
se uno non ha mai assistito a un parto, qui ha l’opportunità
di essere reso opportunamente edotto, ma in modo semplice ed
efficace, così che si finisce con l’appassionarsi a
quel grande evento che è la nascita. Peraltro, accanto a tanti
umili personaggi, ci sono anche le figure delle giovani levatrici e
delle suore del convento di Nonnatus House, descritte con autentica
tenerezza e se agli inizi della sua esistenza con queste religiose
Jennifer è agnostica, poco a poco sente maturare qualcosa in
lei che se forse non è ancora fede, però è in
corso di divenire, e questo senza un insegnamento religioso, senza
approfondimenti teologici, ma con l’esempio della vita
quotidiana di queste monache, votate a soccorrere la povera gente e a
far nascere i bambini.
Chiamate
la levatrice si legge con grande piacere e quindi è
sicuramente consigliabile.
Jennifer
Worth
(Clacton-on-Sea,
25 settembre 1935 – 31 maggio 2011), infermiera
fino agli anni Settanta, e dopo musicista, ha scritto una trilogia
dedicata alla sua esperienza come levatrice nell’antica zona
proletaria di Londra: Call
the midwife (2002), Shadows
of the Workhouse (2005)
e Farewell
of the East End (2009).
La
prima opera, Chiamate
la levatrice,
è stata pubblicata in Italia nel 2014 da Sellerio. In Gran
Bretagna ha venduto oltre un milione di copie e la BBC ne ha tratto
una serie televisiva, distribuita in numerosi Paesi.
Renzo
Montagnoli
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