I misteri delle
soffitte
di Carolina Invernizio
Introduzione di Gordiano Lupi
Copertina di Elena Migliorini
Edizioni Il Foglio
http://www.ilfoglioletterario.it/
lupi@infol.it
Narrativa – romanzo
Pagg. 361
ISBN: 978-88-7606-152-3
Prezzo: € 10,00
Che cosa mi abbia
indotto a leggere questo romanzo scritto da una prolifica autrice,
vissuta nella seconda metà dell'ottocento e nei primi cinque lustri del
millenovecento, mi è del tutto sconosciuto.
Non potrei nemmeno definirla
curiosità, perché già in età giovanile avevo letto
qualche cosa scritto da lei, non ritraendone tuttavia particolare piacere.
Eppure, la tentazione di mettere gli
occhi in qualche cosa un po' al di fuori della norma è stata forte, così che
sono stato indotto ad acquistare il volume.
Premetto che ci troviamo nell'ambito
del cosiddetto romanzo d'appendice o anche con il termine più spregiativo di feuilleton, cioè una scrittura semplice,
facilmente comprensibile soprattutto da parte della gente meno istruita, con
trame molto arzigogolate, dove fioriscono tradimenti, dove il buono di turno è
continuamente vilipeso, anche se il finale gli riserva sempre un riscatto.
Se volessimo
fare un paragone a un genere attuale, che trova la sua forma espressiva però
nel mezzo televisivo, è come la fiction, ma con una differenza essenziale: il
feuilleton ha sempre intenti educativi, mentre l'altra è spesso totalmente
priva di morale.
Per dirla in breve, culturalmente è
meglio il romanzo d'appendice, cosa tanto più
preoccupante se si considera che gli amanti della fiction hanno un grado
d'istruzione ben superiore a quelli dell'epoca d'oro del feuilleton.
In questo volume di Carolina Invernizio è presente una struttura da giallo che,
tuttavia, non è la finalità per cui è stato scritto,
ma è solo il supporto per imbastire intorno una storia a tinte fosche di dolci
dame tradite, di operaie belle come il sole, di giovani sinceri ed onesti, di
un conte che è la malvagità in persona, tutte caratteristiche proprie del
genere.
Lì uno se è buono lo è fino a
diventare stupido e un altro se è cattivo è peggio del diavolo.
Sono personaggi al di fuori della
realtà, dove invece è sempre presente in ognuno l'aspetto positivo accompagnato
tuttavia, in grado più o meno accentuato, da quello negativo.
In verità questi stereotipi
semplificano molto la comprensione del testo da parte di lettori spesso
occasionali, di modestissima istruzione e di ceto sociale remissivo.
Un altro aspetto, poi, da tenere in
considerazione è lo stile, dove l'eloquenza predomina non solo per bocca di
nobili o dottori, ma anche di servette e di modesti
operai.
In effetti, non sono a parlare i
personaggi, ma l'autrice stessa, di cui si avverte continuamente la presenza
con giudizi e consigli esposti per il tramite dei soggetti da lei creati.
Tuttavia, l'aspetto più significativo
è che l'interesse alla lettura rimane inalterato, pagina dopo pagina, perché la Invernizio è capace di creare continue
aspettative che inducono il lettore odierno, più smaliziato, a soprassedere a
certe manchevolezze, quali l'impressione che i protagonisti stiano recitando,
insomma che siano loro stessi attori di una trama preconfezionata.
E così, nonostante la lunghezza e una
sempre presente verbosità, si giunge al termine, forse non appagati
culturalmente, ma comunque consapevoli di aver trascorso qualche ora in modo
gradevole senza aver affaticato la mente.
E' una sorta di archeologia della
letteratura, una scoperta, in fin dei conti, di una narrativa minore che,
tuttavia, non mi sembra inferiore a certi romanzi che oggi hanno
successo, pur non avendo nemmeno il merito di interessare il lettore.
Carolina Invernizio (Voghera 1851 – Cuneo, 27 novembre 1916).
Scrisse per anni romanzi di appendice
per La Gazzetta
di Torino e poi per l'Editore Salani, che le pubblicò
la bellezza di 123 libri.
Ebbe grande successo fra i lettori
dell'epoca, ma assai meno fra i critici che, soprattutto, mal sopportavano lo
sfondo gotico delle sue trame.