Ballate
di vita di morte e d'amore
di Fabrizio Manini
Prefazione di Gordiano
Lupi
Introduzione di Antonella
Governi
In copertina disegno
originale di Fabio Marangio
Edizioni Il Foglio
Poesia – Silloge
Pagg. 52
ISBN: 88-88515-04-6
Prezzo: € 5,00
Della produzione poetica
di Fabrizio Manini, di notevole pregio (al riguardo
prego il lettore di leggersi le mie recensioni a Grigie distese e a Voglio che
dio mi mostri il suo volto), fa
parte anche un'opera di più ridotte dimensioni, ma sicuramente atipica sia per
l'autore che per le produzioni correnti.
La ballata era un tempo molto diffusa e la sua ritmicità permetteva ai
cantastorie di cantarla; spesso erano lavori che parlavano di vicende amorose o
anche storiche, ma adatti soprattutto ad ascoltatori di poche pretese, quali
potevano essere soprattutto i servi della gleba di almeno sette secoli fa.
Ciò non toglie che vi si siano cimentati, con opere di diverso e maggior valore,
anche poeti famosi, fra i quali Petrarca e in tempi
meno remoti Carducci, Pascoli, D'Annunzio.
In queste composizioni la
tecnica è essenziale e quindi occorre non solo conoscere bene la metrica, ma
esserne padroni. Infatti i versi sciolti e liberi mal
si adattano al ritmo richiesto e soprattutto a quella sorta di ritornello
armonico che è sempre presente.
Al riguardo Manini dimostra consapevolezza dei propri mezzi, ricorrendo
a quartine a rime pure, talvolta baciate, altre più spesso alternate; tuttavia
non si rifa alla tradizione italiana della ballata,
cioè alle opere dei citati Petrarca, Carducci, ecc., di carattere più elegiaco, ma ai grandi specialisti
francesi, fra i quali spicca quel François Villon, scapestrato e mezzo delinquente, al punto tale che,
al di là del valore, è anche noto per la sua vita turbolenta.
Fabrizio Manini ha intitolato queste dodici ballate “Ballate di vita di morte e d'amore”,
perché in effetti ha inteso tracciare alcuni aspetti
caratteristici dell'esistenza, con un occhio però di favore più per la morte
che per la vita e per l'amore.
E indubbiamente Villon ha avuto un grande ascendente su di lui, ove si consideri
che la fonte ispiratrice sono proprio le opere dell'autore francese.
Non a caso il riferimento
è addirittura la famosa Ballade des pendus e anche nella silloge di Manini
troviamo La ballata dell'impiccato (…dal cappio pietà/ brunito d'attesa/la tua
fune saprà/che il mio culo pesa.).
Poi ci sono altre ballate
che hanno tematiche diverse, ma nella maggior parte delle quali è presente la
morte.
Del resto, nell'epoca
d'oro di questa forma poetica, la morte, vista come figura, era quasi sempre
presente, perché in fondo serviva anche a umanizzarla. Questa tendenza
smitizzante era ripetuta anche nelle arti figurative, come nelle famose Danze
Macabre che affrescavano le pareti di molte chiese con annesso cimitero.
E anche in Manini questa smitizzazione è presente, perché in fondo
l'autore sembra volerci dire che la morte è una certezza, mentre la vita non lo
è.
Peraltro l'opera ha una
sua valenza anche perché prefigura quella che sarà la successiva produzione
poetica dell'autore, e non tanto per la forma, quanto per i contenuti.
In particolare si ravvisa
quelle tematica esistenziale propria di Grigie distese nella Ballata della noia, successivamente
ripresa con alcune modifiche nella silloge testé citata, nonché nella Ballata della solitudine, segno evidente dell'evoluzione artistica e filosofica
che l'autore nel tempo va portando avanti.
Del resto i prodromi di Voglio che dio mi mostri il suo volto si
riscontrano, sia pure abbozzati, nella Ballata
dell'amore e della morte, dove il concetto, che sarà in seguito più
ampiamente espresso, qui è delineato in modo diverso, ma è pur sempre presente la contestualità fra
l'amore affettivo e quello erotico, il primo rientrante con il pentimento nella
raffigurazione divina e il secondo, con l'espiazione nella morte, simbolizzato
da una sorta di diavolo salvificatore (…cerco l'oblio/dell'alito
nero/ e invoco il mio/ destino e spero…;… baciarti la bocca/ a labbra di seta/
salvezza mi tocca/ in morte discreta…).
E' opera di facile e
gradevole lettura, dove la tecnica, come precisato agli inizi, la fa da
padrona, ma scorrendo le righe, quartina dopo quartina, se riuscirete a essere partecipi, non potrà non venire in voi il desiderio
di canticchiarle, magari immaginandovi di essere su una piazza del ‘500,
contornati da mocciosi che si accapigliano e da gente del popolo, che,
estasiata, batte il tempo con i piedi.
Fabrizio Manini è collaboratore de Il Foglio
Letterario dal 2001. All'interno delle Edizioni Il Foglio è direttore della
Collana Autori Contemporanei Poesia e della rivista ebook
Carmina. Ha pubblicato anche Briciole
d'eternità (Ed. Polistampa,
1997), Voglio che dio mi mostri il suo volto (Ed.
Il Foglio, 2003), Grigie distese (Ed. Il Foglio, 2005).