Ai miei cari compagni
Diario inedito di un neo-garibaldino
di Luciano Bianciardi
Introduzione di Ettore Bianciardi
Edizioni Stampa Alternativa
Pagg. 163
ISBN: 9788862220002
Prezzo: € 10,00
Non è facile per uno scrittore che va
controcorrente ritagliarsi una collocazione nell'olimpo letterario e ancor di
più lo è stato per Luciano Bianciardi, con quella
visione critica, frutto dello spirito anarchico, con la quale osservava il
mondo circostante.
Amava il Risorgimento, ma non quello
falso e retorico che ancor oggi si insegna nelle
scuole, ma la parte più scomoda di questo, cioè quella garibaldina, mazziniana
e rivoluzionaria.
Questo gioiellino,
che ho appena terminato di leggere, ne è un chiaro esempio ed è costituito da
due racconti lunghi che hanno come tematica, rispettivamente, le cinque giornate di Milano e la
spedizione dei mille.
Concepiti come un sogno, giacché
ovviamente gli eventi non furono vissuti dall'autore, mescola sapientemente
elementi dell'epoca ad altri più attuali, con una vena ironica che non potrà
che stupire.
Sì, perché nel raccontare del
passato, descrive anche il presente, che non può accettare, circostanza questa
che l'ha sempre reso inviso al potere.
Scrive, a proposito delle cinque
giornate di Milano “In questi
cinque giorni di disordine ha regnato in città un ordine nuovo, spontaneo,
entusiastico. Basti pensare che non è stato segnalato un solo caso di
furto. Milano stava vivendo un
clima morale del
tutto nuovo. I ladri han
ricominciato a rubare non appena è stato ristabilito il rispetto della proprietà".
Il concetto è tanto più evidente quando osserva che, cacciati gli
austriaci, le istituzioni ripreso sovrane, con una progressiva disaffezione dei milanesi, che al ritorno di Radetsky
ne furono contenti, tanto più che questi
non fece rappresaglie, limitandosi intelligentemente a sanzionare grosse ammende ai più
facoltosi, circostanza che indusse il
popolo a credere che fosse ripristinata un po' di quella
giustizia ed eguaglianza che era stata presente solo durante le cinque giornate, cioè fino a quando era durata la rivoluzione.
Bianciardi non nasconde una spiccata
simpatia per Garibaldi, visto
come un'idealista e fautore
della rivoluzione permanente, e nello scrivere della spedizione dei mille fa emergere
chiaro il suo disprezzo per la dinastia sabauda, già approcciato nel racconto delle
cinque giornate, con una descrizione di Carlo Alberto e dell'entourage
piemontese del tutto impietosa.
Ripercorriamo così
le storiche vittorie dell'eroe dei due mondi, da Calatafimi
al Volturno, su cui aleggia però sempre
l'ombra sinistra dei Savoia.
E, anzi, in occasione dell'incontro di Teano, procede ad un'acuta osservazione, ribaltando tutta la storiografia ufficiale e trovando una logica
spiegazione non solo dell'attuale
arretratezza economica del meridione, ma anche della sfiducia
di questo nelle istituzioni.
Tengo a precisare, peraltro, che in questo non dice nulla di nuovo
di quanto già gli storici
non allineati non sappiano,
ma è come lo dice, evidenziando la stortura secondo la quale il Regno
delle Due Sicilie, più progredito rispetto al Piemonte, in breve tempo si vide depauperato, burocratizzato e, diciamo pure la verità, schiavizzato. Ai meridionali non restò che la ribellione,
fatta passare per brigantaggio, e che scatenò una repressione
generalizzata, in pratica un vero e proprio
genocidio.
E' un libro che si
legge con immenso piacere, che fa
meditare e che consacra, qualora ancora qualcuno avesse dei dubbi,
la grandezza letteraria e umana di Luciano
Bianciardi.
Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922 – Milano, 14 novembre
1971). E' stato giornalista, saggista e scrittore.
Le opere: I minatori della Maremma,
1956 (in collaborazione con Carlo Cassola); Il lavoro culturale,
1957; L'integrazione, 1960; Da Quarto a Torino, 1960; La vita agra, 1962; La
battaglia soda, 1964; Aprire il fuoco, 1969.