Nei suoi occhi
- Vieni
via dalla strada.
Franco
si volse a guardare la madre che gli faceva cenno di rientrare e rimase fermo
sul ciglio della strada.
- Non
vedi che passano i soldati che vanno al fronte, che gli autocarri rombano e
quasi ti sfiorano?
No, non
vedeva quello che diceva sua madre; le immagini scorrevano davanti ai suoi
occhi, ma nemmeno le coglieva. Sentiva invece dentro di sé svilupparsi altre
visioni: truppe a cavallo che procedevano al galoppo,
elmi scintillanti nella luce del sole, spade lucenti sguainate come in una
delle tante storie che il nonno gli aveva narrato, battaglie antiche, cozzi di
scudi, scontri da cui sempre usciva vincitore il più buono, il più bravo.
E anche
ora che soldati stranieri sfilavano dinnanzi a lui diretti verso il vicino
fronte non riusciva a scorgere altro che gli eroi di quelle storie.
Si sentì
strattonare e trascinare in casa.
- Vuoi
capirlo che è pericoloso stare lì fuori! La guerra non è un gioco e tutti quei
tedeschi lo sanno bene. Prova a guardarli in faccia: sembrano granitici,
impassibili, ma non possono non aver paura e quando si combatte si muore anche.
- Le
storie del nonno, però…
-
Appunto, sono storie, favole, ma hanno sempre un fondo di verità e tutte le
battaglie di cui parla ci sono state, anche se tanti anni fa.
Franco
non disse niente, accostò una sedia alla finestra, vi salì per guardare, al
riparo dei vetri, la fila interminabile dei soldati e riprese a fantasticare.
Sua
madre si rivolse al nonno, quasi appisolato accanto al focolare – Pa', smettila di raccontargli delle battaglie dei secoli
passati. Non vedi che non riesce più a vedere la realtà, che non capisce che
siamo in guerra e non in una delle tue storie.
- E'
troppo brutto questo tempo perché Franco possa accettarlo. Non è che un bambino
di sei anni e i suoi occhi vedono la tragedia della guerra in modo diverso dai
nostri, e forse è meglio così.
- Meglio
un corno! Non voglio crescere un figlio che non è mai presente, che rifiuta la
realtà, creandosi un mondo tutto suo.
-
Passerà, passerà…
- E se
non passa? E se poi in tutta la vita, anche quando verrà la pace, si rifiuterà
di essere parte del mondo di tutti?
- Per il momento è meglio così; non voglio che
viva con il timore che è sempre dentro di noi; non voglio che debba trasalire
ogni volta che bussano alla porta; voglio che i suoi sonni rimangano leggeri e
non come i nostri popolati solo da incubi.
- Va
bene, hai sempre ragione tu.
- No,
non è vero che ho sempre ragione, ma qualche volta il
mondo deve apparire diverso da quello che è e questo è più facile per un
bambino.
Già
stava calando il sole e con esso il numero delle
truppe che percorrevano la strada del paese.
Quando
fu tutto buio e non si udì più il rumore sordo degli scarponi chiodati sul
selciato, Franco si scostò dalla finestra e si mise a sedere accanto al nonno.
- Hai
un'altra storia, nonno?
- Sì, ma
non questa sera; è lunga e te la racconterò domani. Ora mangia e poi va di
corsa a letto.
Pur a
malincuore Franco obbedì e mise sotto i denti quel poco che c'era, poi si
coricò.
Rimase a
lungo a occhi aperti, contando i travicelli del soffitto, poi si sovvenne di
una storia raccontatagli dal nonno qualche giorno prima,
di un cavaliere indomito che per il bene di tutti combatteva contro i draghi e,
mentre nella sua fantasia ne assumeva le sembianze, il sonno lo colse.
Al canto
del gallo si risvegliò, porse l'orecchio alla strada, ma non udì rumori: tutto
era quiete nell'alba di quel giorno. Si alzò e andò in cucina: il nonno si era
addormentato accanto al focolare e aveva lasciato cadere la vecchia pipa. Il
fuoco era spento e faceva abbastanza freddo; allora prese sulle sue ginocchia
Marameo, il vecchio gatto, che si mise a far le fusa. La prima luce che entrava
dalla finestra sciabolava il buio della camera, accentuando le ombre, in cui si
immaginò di vedere schiere di armigeri, mentre il nonno era il suo fido
scudiero e il micio che si strisciava contro il suo grembo altri non era che il
destriero che presto l'avrebbe portato a cavalcare alla testa dei suoi prodi.
Improvvisamente
udì bussare alla porta, prima un colpo forte, poi un vero e proprio
tambureggiare. D'istinto si raggomitolò e quando in un frastuono di assi spezzate l'ingresso fu sfondato rimase impietrito nel vedere
due ossessi che entravano nella stanza, gridando come pazzi.
- Rauss, rauss…
Accorse sua madre e subito si prese un ceffone da uno dei due che
allungò anche un calcio al nonno che faticava ad aprire gli occhi.
- Fuori,
tutti fuori, andare in chiesa.
E furono
spinti in strada, dove già c'era un corteo di insonnoliti paesani che
procedeva, fra calci e pugni, verso la vecchia parrocchiale.
Si
sentiva l'acre odore del fumo di alcune case che bruciavano e, ogni tanto,
delle urla strazianti e poi degli spari.
Avvertì
che qualcuno gli prendeva la mano e si volse a guardare: era il nonno, con il
volto teso, che si sforzava di sorridergli.
- Che
cosa succede nonno?
Il
vecchio non rispose.
- Che
succede insomma?
Mentre
le lacrime gli rigavano il volto prese in braccio il
nipotino e a bassa voce gli parlò.
- Ti racconto
la storia che ti ho promesso e non aver paura, perché tutto quello che sta
succedendo è parte di essa.
Tanti
anni fa il nostro paese è stato invaso da un'orda di lanzichenecchi, mercenari
tedeschi della peggior specie che non si fermavano davanti a nulla. Dove
passavano loro restavano solo macerie fumanti e uccidevano tutti, ma non
sapevano che c'era qualcuno con cui avrebbero dovuto fare i conti. Infatti, un
cavaliere delle nostre parti, Franco da Barberino aveva radunato degli armati e
si apprestava allo scontro decisivo.
- Si
chiamava Franco come me!
- Sì,
come te ed era forte e coraggioso.
Nel
frattempo erano arrivati alla chiesa e furono costretti ad entrarvi. Il tempio,
di per sé piccolo, non riusciva quasi a contenere tutta la gente. Il parroco
cercò di parlare con il capo dei tedeschi, ma per tutta risposta gli spararono
alla testa. La soldataglia poi abbatté il portone della chiesa e portò un autocarro
davanti all'ingresso.
Dentro i
più piangevano e molti pregavano perché ormai avevano capito.
Il nonno
si mise davanti al nipotino, quasi a fargli scudo.
- Lo
scontro avvenne proprio in paese, sulla piazza della chiesa. I lanzichenecchi
erano molti di più degli armigeri di Franco, ma questi non avevano paura,
perché sapevano di essere nel giusto.
Fu
alzato il telone dell'autocarro e così apparve una mitragliatrice con i suoi
serventi.
- La
battaglia iniziò all'alba e…
La voce
si troncò di colpo, mentre partivano le prime raffiche della mitragliatrice.
Il
vecchio si afflosciò su se stesso, mentre il sangue schizzava ovunque fra le
grida, prima di terrore, poi di dolore. I serventi, con calma, alimentavano il
mezzo di morte con nuove pallottole e continuarono a sparare come se nulla
fosse, come a una esercitazione. Poi, a un cenno del
loro capo, si fermarono; nella chiesa furono gettate una mezza dozzina di
granate e quindi entrarono un paio di soldati. Si aggirarono nel carnaio,
rivoltando i corpi; se qualcuno ancora respirava gli sparavano.
Franco,
coperto dal corpo del nonno, era ancora vivo, anzi non era nemmeno ferito.
Se ne
stava zitto, tutto lordo di sangue, e non riusciva a pensare a nulla; tutto gli
sembrava così irreale, e non un sogno, ma un incubo.
Quando,
sollevato il corpo del nonno, il tedesco lo scorse rimase un attimo senza
decidere, poi prese un altro caricatore e lo infilò nel fucile.
Franco
lo guardava stupito: era questo quindi il lanzichenecco?
Sì, lo
era e allora chiuse gli occhi e si vide nei panni di un grande condottiero che
andava a combattere il male per il bene di tutti, in una battaglia cruenta dove
anche il suo scudiero era stato massacrato.
Il campo
era quello tipico di un grande combattimento ed erano più i morti che i vivi,
anzi erano sopravvissuti solo lui e il capo nemico, e adesso loro si sarebbero
affrontati.
Il tedesco
armò il fucile, guardò un attimo quel piccino dagli occhi chiusi che,
rialzatosi, gli stava davanti, ritto, quasi impavido, poi alzò la canna
dell'arma verso l'alto ed esplose un colpo.
-
Finito?
-
Finito.
- Allora
usciamo e andiamo a Sant'Anna di Stazzema.
L'autocarro
ripartì rombando, fra canti sguaiati.
Il
piccolo riaprì gli occhi e si guardò intorno: Franco da Barberino aveva vinto
la sua battaglia.