Il rosso nel campo
Era una splendida mattina di
primavera e sotto un cielo azzurro camminava in un prato dal verde intenso, qua
e là chiazzato dal rosso dei papaveri.
Più che andare, scivolava sull'erba,
in una sorta di danza senza musica se non quella del tutto spontanea della
natura.
Senza una meta, se non quella di
essere là, libero e in pace, non s'accorse delle prime nubi che s'affacciavano
in cielo, ma quando l'ombra sul prato aumentò volse lo sguardo all'insù e
s'avvide che il tempo cambiava.
Un vento, dapprima lieve, prese a
essere impetuoso, ad ammassare nembi minacciosi, a ondate continue come un mare
in tempesta; il brusio della natura scomparve di colpo per far posto al cupo
rimbombo dei tuoni e in un'oscurità crescente prese a piovere.
Cercò di coprirsi il capo con le
mani, ma sentì che quell'acqua aveva odore e
consistenza diversa dal solito. Le abbassò per osservarle e fu preso
dall'orrore: grondavano sangue. Il verde dell'erba era sparito e intorno a lui
fluttuava un mare tempestoso di un rosso cupo, dall'odore dolciastro che ben
conosceva. Era tutto un ribollire di sangue, un lago che aumentava
vertiginosamente, con il liquido che risaliva il suo corpo, toccava le
ginocchia, raggiungeva l'ombelico e quando arrivò alla bocca gli restò appena
il tempo per un urlo disumano.
- Noooo! Noooo!
Ansante, madido di sudore, fu così che si
risvegliò.
Sentì qualche brontolio, un paio di
bestemmie, ma poi tutto torno calmò e nel buio completo si rese conto che era
stato solo un incubo e che lui era ancora lì, nel rifugio puzzolente di sudore,
fradicio d'acqua, coperto da un metro di terreno fangoso. In tutto erano non
più di 10 metri quadrati
dove potevano riposare - ma in guerra questo termine è
un eufemismo – al massimo una decina di uomini, stipati l'uno contro l'altro
come in una scatola di sardine.
Scese dal pagliericcio, a tentoni raggiunse l'esterno e si trovò nella trincea.
La notte era quieta, stranamente, con
un cielo senza stelle, rischiarato ogni tanto dal bagliore di un bengala.
Alla sua sinistra c'era il posto di
osservazione e si rincuorò nel vedere la sentinella che scrutava nel buio.
Le si
avvicinò e questa si volse.
- Sei venuto a rilevarmi?
- No, non sono di turno questa notte.
E' che ho avuto un incubo e non riesco più a prendere sonno.
- Capita anche a me. Si cerca di
sognare il bello, ma quello è solo un ricordo e non trova posto in questo
inferno.
- Hai ragione, ma almeno essere
lontani da qui con la fantasia permette di sopportare. Solo che se sogni
qualche cosa di piacevole non arrivi fino alla fine e tutto poi diventa brutto.
- Speriamo che questa guerra finisca
alla svelta.
- Speriamo di sì.
Già cominciava ad albeggiare; a
oriente sottili strisce di luce cercavano di forare la fitta coltre di nubi e
poco a poco che il chiarore si propagava sul terreno l'oscurità lasciava il
posto a una visione spettrale: un suolo sconvolto, nemmeno un filo d'erba, e
qua e là cadaveri insepolti, fagotti di stracci ghermiti dalla terra, distesi
in pose che non sembravano mostrare l'aspetto di un lungo e definitivo riposo.
Uno accovacciato su stesso, un altro piegato su un fianco, con il tronco
proteso verso l'alto e irrigidito dalla morte, un altro ancora appeso a un reticolato,
con la mano mossa dal vento quasi a salutare i sopravvissuti, un quadro
allucinante composto da manichini che un tempo erano
uomini.
Fu allora che l'oriente,
all'improvviso, avvampò e centinaia di bocche da fuoco aprirono le fauci
cominciando a scagliare tonnellate di ferro rovente sulle nostre linee.
- Allarmi! Allarmi!
Furono le ultime parole della
sentinella, poi ricadde all'indietro con le braccia aperte.
Tutto intorno
esplosioni, sassi che volavano, cavalli di frisia
sollevati come fuscelli, la trincea in più punti sconvolta, il rifugio da cui
era da poco uscito centrato in pieno da un colpo, i topi che fuggivano nel
fango, soldati che correvano come impazziti lungo i camminamenti, ordini di
comandanti coperti dal fragore delle bombe, urla di dolore dei colpiti, il
terreno che tremava, l'aria impregnata dall'acre odore degli esplosivi.
Lui non si mosse, restò fermo, ma
l'angoscia saliva e come un serpente si insinuava nelle budella, raggiungeva lo
stomaco.
Non udiva più nulla, gli occhi
sbarrati, la divisa fradicia del sangue dei morti, il fango che bloccava i suoi
piedi.
Da quanto durava quella tempesta di
fuoco non era alla portata della sua mente, perché ormai non pensava, nel
cervello non c'era posto per la razionalità in un evento che non ne presentava
nemmeno un poco.
Lui era lì e al tempo stesso era
altrove, perché non era possibile accettare l'inaccettabile, quella ferocia, quell'orrore che già troppe volte aveva provato.
Il bombardamento cessò e dalle
trincee nemiche cominciarono a uscire i soldati per l'assalto.
Si guardò intorno e non vide nessuno,
chiamò e non ebbe risposta. Fu solo allora che ebbe la drammatica certezza di
essere l'unico sopravvissuto.
I suoi occhi, quasi bianchi ormai,
corsero al rifugio: non esisteva più, sparito, cancellato.
Tutto all'intorno c'era un silenzio
irreale, una totale assenza di suoni, o forse era solo lui che non udiva più
nulla.
Le tempie pulsavano, lo stomaco si
attorcigliava, nessuna idea, nessun pensiero, un vuoto assoluto, un
annientamento psichico.
Gettò il fucile e si sporse dal bordo
della trincea.
Il paesaggio era incredibilmente
cambiato: un prato d'erba verde rigogliosa, punteggiato dal rosso dei papaveri.
Lì c'era la vita e dietro di lui solo
la morte.
Uscì dalla trincea, estasiato da
tanta bellezza e si mise a correre, allargando le braccia.
I suoi piedi scivolavano sull'erba,
leggeri e non sembravano gravati dal peso del corpo.
Era bello volare, sentire il profumo
dei fiori, il brusio della natura.
Gli attaccanti si fermarono: che
faceva mai quello che correva incontro a loro a braccia aperte, saltellando
come se danzasse?
Restarono allibiti, attoniti di
fronte a un'immagine del tutto irreale in quello scenario.
Lui continuava a procedere, aspirando
a fondo un'aria finalmente pulita, lontana dagli orrori del mondo.
Si udì uno sparo e lui si fermò;
mentre gli cadevano le braccia, e con esse il corpo,
l'ultima cosa che vide fu una marea rossa, ribollente, che montava sul verde
del campo.