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  Racconti  »  Storie di paese Prima Serie  »  Nostradamus 20/04/2006
 

Apparve in paese in un freddo giorno di gennaio, infagottato in un vecchio cappotto logoro, magro, scheletrico, la barba incolta, gli occhi arrossati, i capelli corvini che non conoscevano da un bel po' il taglio del barbiere.

Entrò nell'osteria e si precipitò subito a scaldarsi sedendo vicino alla stufa a legna.

Si voltò a guardare i presenti, che lo fissavano incuriositi, e li salutò, con un buongiorno stretto, tipico di un idioma non locale.

Il Guercio che, in un angolo stava leggendo l'Unità, sollevò gli occhi dal giornale e gli rivolse la parola.

- E tu chi sei?

Quello si guardò intorno, quasi in preda al panico, soffocato da quegli sguardi che lo scrutavano, e rispose, deglutendo.

- Sono Calogero Vizzini e vengo da Acitrezza, in Sicilia. Sono in cerca di lavoro, perché da noi si muore di fame.

Al che il Guercio fece un cenno all'oste perché gli portasse un caffelatte con un po' di pane, poi si alzò e andò a sedersi accanto al nuovo venuto. Lasciò che consumasse la colazione, il che avvenne in un attimo, a conferma di una fame arretrata, poi gli rivolse di nuovo la parola.

- Parlaci un po' di te. Raccontaci la tua storia, quello che sai fare, e chissà che ti si possa trovare un lavoro.

- Che storia volete che vi racconti? Quinto di dieci figli, orfano di madre, poiché l'undicesimo se l'è portata via con lui; la guerra, prima i tedeschi, poi gli americani, quindi la pace, senza che sia cambiato qualche cosa: bestia ero prima e bestia sono ora.

Ho studiato ben poco e so appena leggere e scrivere, ho solo le mie braccia da offrire.

- Va bene, ho capito. Adesso vieni con me che ti trovo un lavoro e un letto.

Il Guercio coltivava da anni un'amicizia con un agricoltore che, rosso non era, ma che si teneva buoni i comunisti, sperando così di non dover difendere un giorno la sua proprietà, e così sistemò Calogero da lui.

Il lavoro sarebbe stato quello dei campi e il letto un giaciglio preparato alla meglio su nel granaio.

I giorni passarono, vennero la primavera e poi l'estate, e in paese si dimenticarono del siciliano, che non aveva l'abitudine di frequentare l'osteria.

Ricomparve, all'improvviso, una mattina dei primi d'ottobre; il volto scavato, gli occhi allucinati, entrò nell'osteria, si guardò intorno e, scorto il Guercio, andò subito da lui.

- Buongiorno, Calogero. Qualche problema, dormito male?

- Non è stata una notte, è stato un inferno, un incubo dietro l'altro e sempre quello: il treno che viene da sud, che arriva al ponte sul Po, comincia ad attraversarlo ed ecco che, in un fragore assordante, finisce dentro l'acqua.

- Sì, è stato un incubo, perché già sono passati tre treni e nessuno s'è bagnato.

- Forse, ma c'era nel sogno un orologio che segnava le 10,30.

Il Guercio guardò la sua vecchia cipolla – Adesso sono le 9,10.

- Non mi credete vero?

- Ma dai, non può essere che un brutto sogno, come se ne fanno ogni tanto.

Il siciliano, avvilito, tolse il disturbo e ritornò al suo lavoro.

Nell'osteria parlottarono un po' di quello strano tipo, del suo sogno strampalato, poi tornarono agli argomenti preferiti: il calcio, la politica e le corna. 

Verso le 10 il Guercio, che doveva recarsi a Modena, uscì e andò in stazione.

Si mise ad attendere il treno sul marciapiedi, andando su e giù, tanto per ingannare il tempo.

 

Nel corso della sua svagata deambulazione finì che arrivò all'inizio del ponte, anche per la curiosità di vedere il passaggio sul fiume del treno che proveniva da Modena e che precedeva l'arrivo del suo di una decina di minuti. Udì in lontananza il fischio della locomotiva e dopo un paio di minuti questa comparve all'inizio del ponte, ma come iniziò a percorrere la prima arcata questa si piegò e precipitò in acqua trascinando con sé la motrice fra enormi sbuffi di vapore. Per un vero e proprio miracolo non la seguirono nella caduta i vagoni con i passeggeri.

Inutile dire che il Guercio dovette rinunciare al suo viaggio a Modena e anzi la linea fu impraticabile per diversi mesi.

Nella disgrazia, che avrebbe potuto avere dimensioni catastrofiche, perirono solo il macchinista e il fuochista.

Dopo il primo attimo di sbigottimento, il Guercio si sovvenne del sogno di Calogero, tanto che ritenne necessario raggiungerlo per raccontargli l'accaduto.

- Ma come hai fatto a sognarti una cosa del genere?

- Non lo so; è successo e mi sono risvegliato tutto sudato e con un gran mal di testa.

Della disgrazia e del sogno si parlò in paese a lungo, ma poi la cosa, com'era nata, finì lì, nella convinzione generale che si fosse trattato di una pura e semplice coincidenza.

I mesi passarono e si arrivò così al 14 luglio del 1948, una giornata afosa che toglieva le forze, affanno tanto più avvertito dal Guercio che nella sua officina stava lavorando una sbarra di ferro arroventata.

Benché frastornato dalla fatica e dai colpi di martello con cui cercava di dar forma a quella materia inerte udì chiaramente una voce sguaiata che reclamava la sua attenzione.

Si volse e vide sulla porta il siciliano, tutto tremante e con gli occhi fuori dalle orbite.

- Che c'è?

- Ho fatto un altro sogno.

- Un altro sogno? E che hai sognato?

- Non so come dirvelo, ma voi siete la persona giusta, perché ho saputo che state dalla parte del popolo.

- E allora?

Il siciliano divenne titubante, si guardò all'intorno, si accostò al Guercio e gli bisbigliò – Una gran brutta cosa e ho paura a dirlo.

- Parla, insomma!

- Questa mattina il vostro capo dei capi…

- Il nostro capo dei capi?

- Sì, insomma…non ricordo come si chiama, ma il nome lo so…è…dunque…Palmiro.

- Palmiro? Palmiro Togliatti vuoi dire?

- Sì, proprio lui. Questa mattina, dicevo, lo vogliono ammazzare.

- Non è una novità, perché Palmiro Togliatti è un personaggio scomodo, ma potresti essere più preciso?

- In sogno l'ho visto insieme a una donna uscire da un palazzo enorme e uno che gli si avvicinava e gli sparava.

- Sì, e magari sai anche l'orario?

- C'era il solito orologio che segnava le 11,30.

Il Guercio guardò la sua vecchia cipolla e la mostrò anche a Calogero.

- Ecco, vedi sono le 11,50 e non è successo niente; è stato solo un brutto sogno e adesso calmati e torna al tuo lavoro.

Il siciliano se ne andò con aria sconsolata, mentre il Guercio, dato l'orario, decise che era ora di chiudere bottega e di andare a pranzo.

Consumò alla svelta il piatto di pasta e fagioli che gli aveva preparato la moglie, poi pensò bene che non era una brutta idea coricarsi per un'oretta.

Si era appena appisolato quando fu svegliato da un frastuono di voci  che provenivano dalla strada; si alzò, aprì le imposte e, mezzo accecato dal sole a picco, si sporse.

Giù c'erano il maresciallo dei carabinieri e una decina di iscritti al partito in preda a una esaltazione tanto più incredibile data l'ora e la calura.

- Ma che è successo?

Il maresciallo gli rivolse la parola – La prego, venga giù a calmarli, perché vogliono dar l'assalto alla caserma per prendere le armi.

- Ma che siete tutti ammattiti! E' scoppiata la rivoluzione?

Il maresciallo, che aveva difficoltà ormai a tenere a bada i forsennati, gli gridò con tutta la sua voce – Questa mattina hanno sparato a Togliatti!

- Madonna mia! E quando è accaduto?

- Verso le 11,30, mentre usciva da Montecitorio con Nilde Jotti; è stato un ragazzo. Lui è ferito seriamente, ma non è in pericolo di vita. La prego, faccia qualche cosa per calmarli.

- Adesso basta! Se continuate così, vengo giù io e facciamo i conti! In queste situazione l'importante è mantenere la calma.

Bastarono quelle poche parole, espresse con tono imperioso, e la piccola rivolta si sgonfiò come per incanto.

Il Guercio avrebbe voluto andare subito da Calogero, ma per telefono gli fu comunicato che era necessaria la sua immediata presenza a Roma e l'incontro con il veggente dovette essere necessariamente rinviato.

Partì già nel pomeriggio e non fu di ritorno che tre giorni dopo. Passò da casa solo per un saluto rapido alla moglie e per lasciare la valigia di cartone, poi corse a cercare il siciliano. Lo trovò nei campi, intento al lavoro.

- E' stato tutto vero come hai raccontato tu. Ma com'è possibile?

- Lo chiedete a me? Vi rispondo che non lo so; vado a letto, m'addormento, sogno e quando mi risveglio ho un gran mal di testa e mi ricordo tutto.

- Già…

- Non è che mi diverto, tanto che ormai ho paura ad addormentarmi.

- Forse è il caso di prendere una bella camomilla prima di coricarti.

- Proverò.

- Ciao e…non farne parola con nessuno di questa faccenda.

- A dire il vero, proprio questa mattina, ne ho parlato al padrone, al Signor Giobatta.

- Proprio a lui dovevi parlarne?

- Mi sono raccomandato che rimanesse una cosa fra noi due.

- Appunto, è il tipo adatto a tener la bocca chiusa: a quest'ora se non lo sanno ancora a Roma è un caso.

Lungo la strada che portava al campo si levò un polverone in rapido avvicinamento e che ben presto avvolse entrambi. Si senti il rumore di un motore, una porta che sbatteva e da quella nebbia emerse il maresciallo.

- Calogero Vizzini di Domenico?

- Sì, sono io, marescià.

-  Seguimi, che ti devo portare in caserma.

Il Guercio si mise fra i due – Ma che ha fatto?

- Sono cose che non la riguardano e la prego di spostarsi.

Il tono era perentorio e il Guercio non poté fare a meno di tirarsi indietro.

Calogero e il maresciallo salirono sulla camionetta e ripartirono a tutta velocità in una nube di polvere che oscurò anche il sole. 

Il Guercio si avviò  alla svelta verso il paese, con la testa che gli scoppiava, in preda ai più foschi presentimenti.

Già vedeva l'interrogatorio del povero Calogero, sospettato di essere uno dei complici dell'attentato; gli balzavano davanti agli occhi le immagini di oscure segrete, di bracieri da tortura pronti a essere utilizzati. 

Scacciò questi pensieri dicendosi che in fondo le caratteristiche del siciliano erano tali da non far pensare che potesse essere parte di un complotto e che poi, in fin dei conti, l'ipotesi di un'azione organizzata non poteva che essere osteggiata dal governo in carica, timoroso di ulteriori gravi disordini.

A quest'idea si tranquillizzò per un istante, ma poi la sua mente sagace gli fece intravedere un'ipotesi ancor peggiore:

 

se era conveniente per chi comandava dimostrare che non c'era stato un complotto e che solo Pallante aveva deciso autonomamente di compiere il folle gesto, la persona del siciliano avrebbe rotto le uova nel paniere e appariva quindi evidente che la stampa e gli italiani non avrebbero dovuto venire a conoscenza del nuovo personaggio. Si mise le mani nei capelli e concluse che l'avrebbero fatto sparire.

Arrivato all'osteria, sapeva già che cosa doveva fare. Tramite i suoi scagnozzi riuscì a convocare mezzo paese e di fronte a tutti raccontò la vicenda. Fu un discorso abbastanza lungo , durante il quale non dimenticò la sua abitudine di attribuire dei nomignoli. Tutto accaldato e con la voce roca concluse – E perciò vi invito a venire con me alla caserma dei Carabinieri, a circondarla di modo che nessuno possa portar via Nostradamus.

- Nostradamus? - Gli fecero eco gli astanti.

- Ma sì, il siciliano, Calogero. Nostradamus era un santone di alcuni secoli fa che sapeva sempre in anticipo quello che sarebbe successo. E adesso andiamo.

Il maresciallo dei carabinieri, che era davanti al portone della caserma, vide arrivare una folla perfettamente inquadrata, con le donne davanti e a seguire gli uomini, una marcia compatta e solenne che ricordava il famoso quadro di Pelliza da Volpedo. Si rifugiò all'interno e telefonò subito al comando.

- Ci sono degli scalmanati che vogliono attaccarci. Che devo fare?

- Chi li comanda?

- Quel rosso del Guercio.

- Chi è il Guercio? Annibale Chiocchetti, il segretario della locale sezione comunista.

- Devo essere più preciso nei termini, Signor capitano? Sì, certo, mi scuso.

- Che fanno adesso?  Sono davanti alla caserma, in piedi, ma fermi, inquadrati come un reggimento.

- Devo sentire che vogliono, poi riferirle?

- Sarà fatto. 

E il maresciallo riapparve sul portone.

- Che volete?

Il Guercio si fece avanti

- Vogliamo il siciliano e io voglio chiarire l'equivoco.

- Non posso e non vedo dove è l'equivoco.

- Le assicuro, Maresciallo, che quell'uomo è in grado di prevedere il futuro.

- Mica tanto! Quando ha raccontato a Giobatta del suo sogno avrebbe dovuto sapere che quello ne avrebbe parlato con tutti.

- Mi riferivo al sogno.

- E io no! Del suo sogno non m'importa; non sapevo nemmeno che Calogero Vizzini fosse da queste parti fino a quando non l'ho sentito nominare questa mattina da Giobatta.

- Mi tolga una curiosità: lei lo ha arrestato in relazione al sogno?

- No, ma che dice! Calogero Vizzini è ricercato per furti di bestiame commessi al suo paese.

- Furti di bestiame?

- Sì, ben tre: a memoria il primo di tre galline, il secondo di un'anatra e il terzo di due pecore.

Il Guercio sbottò a ridere come un pazzo, facendo restare allibito il maresciallo.

- E io che credevo, che pensavo…Furti bestiame! -  E giù un'altra risata.

Quando si fu calmato, mise una mano sulla spalla del maresciallo.

- Senta, non è che si può chiudere un occhio?

- No, non è possibile.

- Se c'è una multa da pagare, ci pensiamo noi.

- No, ripeto che non è possibile perché è già stato condannato in contumacia a un anno e sei mesi di reclusione e purtroppo li dovrà scontare.

Il Guercio allargò le braccia e ritornò alla folla, raccontò in breve il tutto e finalmente si avviò verso casa.

Da allora trascorsero molti anni, senza che si avessero più notizie del siciliano e anche il Guercio se n'era dimenticato.

Ormai vecchio, sopiti gli entusiasmi politici giovanili, passava buona parte delle giornate al bar a fare una partita carte o a leggere i quotidiani.

Fu proprio su uno di questi che notò immediatamente l'articoletto, una sorta di pubblicità che diceva:

“Volete sapere il vostro futuro? Desiderate i numeri vincenti al lotto?

Basta rivolgersi al mago Nostradamus, veggente superiore laureato alla Facoltà di Scienze Occulte della Sorbona – per appuntamento telefonate al n….

Non telefonò, ma volle sapere e quando chiese alla Telecom chi era l'intestatario di quel numero e gli fu risposto “Calogero Vizzini”, proruppe in una risata fragorosa, come ormai da anni non gli capitava.     

 

 

                 

 

 

 

 
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