La
guerra non era finita da molto, ma agli inizi del 1948, con l'unione dei
socialisti dei Nenni e dei comunisti di Togliatti nel Fronte Popolare, si verificò in vista delle
elezioni di aprile una tensione senza precedenti, tanto da far temere dei colpi
di testa da parte dei due contendenti: il centro e la sinistra. In una
situazione economica drammatica, con la povertà dilagante, l'Italia
praticamente distrutta, si avviò una campagna elettorale senza esclusione di
colpi.
Anche
il paese, nel suo piccolo, fu teatro di dispute, di una propaganda astiosa, a
ogni livello e in ogni luogo, anche in chiesa.
Il
tutto iniziò una domenica mattina dei primi di gennaio, allorché don Zeffirino,
durante la messa, parlando di un episodio del Vangelo, quello della Pesca
Miracolosa, accennò vagamente al fatto che solo con l'ideale cristiano si
sarebbe potuto ritornare a mangiare.
E,
considerato che la portatrice politica di questo ideale era la Democrazia Cristiana,
ai presenti non fu difficile comprendere il significato del messaggio.
Dell'evento
fu subito informato il Guercio che, immediatamente, come locale segretario del
partito comunista, fece ciclostilare un manifesto, di cui furono tappezzati
tutti i muri della case del paese, frontale della
chiesa compreso, e in cui si diceva semplicemente “Con le parole e con gli
ideali cristiani non si mangia”.
Già
alla messa della sera, poi, i rintocchi delle campane furono sovrastati
dall'inno dell'Internazionale, suonato a tutto volume.
Don
Zeffirino, che prete sì era, ma che, nonostante l'età avanzata, era ancora ben
lucido e che tutto avrebbe voluto, salvo che far sorgere un conflitto in paese,
anche per il fatto che molti dei suoi fedeli erano dichiaratamente comunisti,
decise di correre subito ai ripari e fece sapere al Guercio che desiderava
parlargli.
L'incontro,
di cui ebbero notizia solo i fedelissimi, si tenne in campo neutro e fu così
che verso mezzanotte, in un freddo quasi glaciale, sul vecchio argine coperto
dalla neve si trovarono di fronte i due contendenti.
-
Annibale, scusa se ti chiamo con il tuo vero nome, queste cose non mi
piacciono, possono portare a eventi spiacevoli, a disordini e a chissà a quali
altre disgrazie.
Il
Guercio, che tremava per il freddo nonostante il suo vecchio pastrano militare,
sbottò immediatamente:
– E il discorso in chiesa, durante la messa, è
stato un vero e proprio comizio, che ne dice? I preti devono pensare solo alle
cose dello spirito, perché a quelle terrene provvedono i politici.
-
Cerca di capirmi, se ti va. Sono un parroco che vuole
solo il bene delle sue pecorelle, di tutte, comuniste e non comuniste. Vedo
gente che soffre la fame, bambini che hanno la pancia vuota, sento il freddo
delle case non riscaldate; devo dare una speranza a questi esseri umani, o no?
-
Anche noi vediamo, anche noi soffriamo e anche noi vogliamo che le cose
cambino.
Il
prete rimase un attimo in silenzio, poi mise una mano sul cuore e con gli occhi
che lacrimavano per il freddo e per quello che si accingeva a dire, mormorò:
– Se tutti e due vogliamo
veramente il bene di questa povera gente, non facciamoci la guerra; ti conosco
da tanti anni e so che sei una gran brava persona; vediamo di intenderci, di
evitare che anche noi portiamo il tizzone al fuoco che sta per divampare.
Devi sapere che non mi sono sognato di fare quel discorso in chiesa, che mi è
stato imposto dal vescovo; ad essere sincero, la curia mi ha comandato di
essere più esplicito, ma non me la sono sentita.
-
E va bene, Don Zeffirino. Facciamo un accordo: lei dice solo messa e non fa
politica e io faccio solo politica e non metto di mezzo la chiesa. Può andare?
I
due si strinsero la mano, poi lasciarono quel posto buio e gelido.
La
quiete ritornò in paese e i rintocchi delle campane ripresero a segnare il
tempo dello spirito, ma la tregua durò poco, e non per colpa del parroco.
Dopo
un paio di settimane, dalla corriera che proveniva dalla città scese un giovane
prete, si avviò con passo deciso verso la casetta di Don Zeffirino, pressoché
addossata alla chiesa, bussò, gli fu aperto ed entrò.
-
Buon giorno, padre. Sono Don Riccardo e mi manda Sua Eccellenza il Vescovo, un
santo, la bontà in persona. Pensi che è preoccupato
per la sua salute, per quell'artrosi che l'affatica
così tanto, che le impedisce di assolvere alla sua missione nel migliore dei
modi, e allora…insomma ha deciso che le occorresse un aiuto ed è per questo che
sono venuto.
-
Ringrazio Sua Eccellenza il Vescovo, ma in verità non è che io stia poi così
male, e francamente un aiuto non mi serve.
-
Tenga la lettera di Sua Eccellenza, e legga.
Don
Zeffirino si mise gli occhiali e aprì la busta che gli veniva
porta. La lettera era straordinariamente breve e dopo un preambolo sulle sue
condizioni di salute concludeva dicendo che l'aiuto era ritenuto indispensabile
e che lui avrebbe dovuto riposarsi per un po', non servendo la Santa Messa, così
faticosa per una persona anziana affetta da artrosi; anzi, l'incarico veniva conferito sine die a Don Riccardo, giovane sacerdote dalle eccelse
qualità.
Il
parroco appoggiò il foglio sulla sua scrivania e quasi sbuffando disse di
essere d'accordo con le volontà del suo Vescovo, ben intuendo tuttavia che i
motivi di tanta generosità erano ben altri.
Don
Riccardo officiò subito la messa pomeridiana delle 17, con don Zeffirino tenuto
premurosamente fuori della chiesa con la scusa dell'ambiente freddo.
Alle
vecchiette presenti fece subito una buona impressione, anche perché il giovane prete
si
poteva tranquillamente considerare un bell'uomo, con
i capelli biondi e gli occhi cerulei, tanto che la Ciuffina
ebbe a dire alla vicina di banco:
– Bello, però. Pare un tedesco.
E
del tedesco aveva la grinta, tanto che quando arrivò all'Omelia, anziché
commentare un passo del Vangelo, andò dritto al sodo:
-
Carissimi fedeli! Il Tempio di Dio è l'unico rifugio, in quest'epoca oscura in
cui le forze del male vogliono impadronirsi delle vostre anime e del nostro
Paese. State attenti, perché esse sono condotte da esseri subdoli che, sotto
un'apparenza di umanità, celano la loro vera natura di diavoli. Ma si
riconoscono bene: sono ammantati di rosso, del rosso del sangue delle loro
vittime. Sono vicino a noi, pronti ad artigliarci, a trascinarci con loro nei
gironi dell'inferno. Diffidate di tutti, anche dei più miti. – Si fermò un attimo, scrutando i
presenti, poi. – E soprattutto di quelli che hanno un occhio solo.
Soddisfatto,
contemplò lo sbigottimento dei fedeli.
Quando
terminò la funzione, la Ciuffina, che aveva fatto nella
Resistenza la staffetta, corse dal Guercio e gli raccontò tutto.
Il
giorno dopo i rintocchi delle campane che annunciavano la messa delle 7 furono
sovrastati dalle note dell'Internazionale e sui muri apparve un nuovo
manifesto, breve come il precedente, che diceva: “ Salutiamo Don Riccardo che
presto se ne andrà”.
Ma
non se ne andò né il giorno dopo, né una settimana dopo e la contesa continuò
imperterrita fra inni dell'Internazionale a tutto volume e omelie che erano dei
veri e propri comizi in cui compariva sempre l'uomo da un occhio solo, di volta
in volta etichettato come Satana, come Belzebù e perfino come il tanto temuto
baffone.
Dire
che il Guercio non ne poteva più sarebbe troppo
semplice; più di una volta gli era venuta la tentazione di irrompere in chiesa
durante la messa e dare un po' di legnate all'officiante, ma poi si era
trattenuto, un po' per l'innato rispetto verso il luogo sacro, ma soprattutto
per il timore di far apparire così il giovane prete come un martire.
La
sede del Partito gli faceva continue pressioni per sistemare una volta per
tutte, con le buone o con le cattive, l'autore di quella incresciosa
situazione, ma egli tergiversava perché gli stava venendo in mente un piano
diabolico.
Ci
pensò a lungo, valutò attentamente gli aspetti positivi e negativi della
soluzione e, solo quando fu ben certo che l'esito sarebbe stato una vera e
propria manna, decise di metterlo in pratica.
Una
sera, fece venire alla sua officina Ludovico Bianconi, l'affossatore comunale,
meglio conosciuto come Tricorno per le frequenti infedeltà della moglie, e gli
parlò senza mezzi termini:
-
Scusa se ti ho fatto venire, ma la questione è della massima importanza, tanto
che tutti gli iscritti al Partito, te compreso soprattutto, devono prestarsi
anima e corpo.
Tricorno
lo guardava con occhi bovini e non riusciva a capire come lui, seppellitore e
per lo più pluricornuto, potesse tornar utile al
Partito.
-
Non se ne può più di questo Don Riccardo; aizza la gente, è peggio del diavolo,
e io ho trovato il modo di sistemarlo a dovere e definitivamente.
-
Lo pestiamo ben bene fino a farlo morire e poi io lo seppellisco?
-
Ma per carità! A parte che sono contrario alla violenza, ma poi ne faremmo un
martire; io invece voglio sputtanare lui e tutti
quelli che sono con lui. Il paladino della moralità deve essere ripagato con la
sua stessa moneta.
-
A dir la verità non capisco…
-
Non m'importa che tu capisca o meno, perché
l'importante è che tu mi aiuti. L'Adalgisa, tua moglie, mi sembra sempre una
gran bella donna..
-
La più bella; sarei l'uomo più felice di questa terra se
lei non fosse insaziabile e allora mi sono rassegnato…
-
Non a caso ti chiamiamo Tricorno e lei invece Unapertutti;
ma bando a queste sciocchezze! Che vuoi farci: corna più, corna meno…
-
Sì, e io sopporto, purché non mi lasci.
-
Certo, ma perché mai dovrebbe lasciarti? Lo sanno tutti che lei è innamorata di
te. Allora, ascoltami bene: devi convincere l'Adalgisa ad andare a tutte le
messe e a mettersi in prima fila.
-
E' una parola! Non va a una messa che saranno almeno dieci anni.
-
Non preoccuparti di questo. Quando torni a casa devi dire semplicemente, con
noncuranza, quasi fosse una constatazione, che lungo la strada hai incontrato
il nuovo quel prete, Don Riccardo, e che sei rimasto
stupito di come un uomo così bello si sia fatto sacerdote.
-
Solo questo?
-
Solo questo e vedrai che basterà. Adesso vai, e mi raccomando ancora una volta:
diglielo come se le dovessi dire che mi hai visto.
Come
l'uomo uscì, bussarono alla porta.
Quando
aprì, non poco fu lo stupore del Guercio di trovarsi davanti Don Zeffirino.
-
Buona sera, Don Zeffirino.
-
Buona sera, Annibale. Sono venuto perché questa storia è durata anche troppo:
le campane zittite dall'inno e la messa trasformata in un palco per comizi. E
poi quel ragazzo mi ha tolto ogni potere; non posso muovermi senza dovergli
dire dove vado e alla sera, invece di recitare insieme
il rosario, mi tocca sorbire le sue filippiche contro i rossi. Ogni tanto mi
chiedo da che parte stia Satana. Insomma, per farla breve, vediamo di trovare
un accordo.
-
L'altro sa che lei è da me?
-
Certo, perché sono stato costretto a dirglielo.
-
E che scusa lei ha accampato?
-
Gli ho detto la verità, e cioè che sono venuto a cercare un accordo.
Il
Guercio alzò le mani al cielo per quell'idea che gli
era venuta all'improvviso e disse:
– Certo, facciamo questo accordo: da domani mattina il suono delle campane non sarà coperto da quello
dell'inno.
-
E in cambio?
-
Niente. Lei, Don Zeffirino, non dovrà fare proprio niente e io le assicuro che
nel giro di una settimana al massimo lei ritornerà padrone della parrocchia.
-
Vedo, Annibale, che nonostante tutto la fede è sempre
in te. Che Dio ti benedica.
-
Buona sera, padre. Torni alla sua casa e dica che ha raggiunto l'accordo e che
il Guercio ha sempre un animo religioso.
Alla
messa delle sette, annunciata dai limpidi rintocchi delle campane, presenziò
anche l'Adalgisa; si sedette sulla prima panca e quando il sacerdote entrò per
celebrare il rito avvertì un colpo al cuore: quegli occhi cerulei l'avevano
conquistata.
La
funzione proseguì come al solito e anche l'omelia fu
un comizio del tutto uguale ai precedenti. Alla fine del discorso Don Riccardo
guardò trionfalmente i presenti e i suoi occhi incontrarono quelli
dell'Adalgisa che diventarono improvvisamente dolci come il miele. Anche lui
avvertì qualche cosa, tanto che dovette dare un paio di colpi di tosse per
soffocare quella strana sensazione che gli stava salendo dalle viscere.
Alla
messa vespertina la donna si presentò con un vestito stretto che ne esaltava le
forme morbide e con uno scialle che le copriva perfino il petto e che, del
tutto casualmente, quando il prete si volse verso di lei, scivolò a terra,
svelando una generosa scollatura che a stento tratteneva i seni abbondanti.
Questa
volta Don Riccardo non riuscì a trattenersi e il comizio diventò una specie di
monologo esitante, con frasi smozzicate, amnesie improvvise, lunghi silenzi,
tanto che non pochi dei presenti pensarono che non stesse per niente bene.
Il
giorno dopo, terminata la funzione del mattino, avvenne la conoscenza diretta,
quando l'Adalgisa avvicinò il bel sacerdote per chiedergli informazioni
sull'orario delle confessioni.
Nemmeno
a farlo apposta, poco prima della messa vespertina, l'Adalgisa entrò nel
confessionale e vi rimase a lungo. Ne uscirono entrambi contemporaneamente: lei
con un sorriso radioso e lui con il viso paonazzo e visibilmente accaldato.
Anche quella funzione fu uno strazio, tanto che l'officiante saltò il comizio.
E
poi, discretamente spiati dagli uomini del Guercio, finirono per incontrarsi
ogni sera dietro la canonica: carezze, baci, palpeggiamenti, proprio come due
teneri innamorati.
La
notizia di questa imprudente relazione fu fatta abilmente diffondere in paese,
soprattutto tramite la Ciuffina, istruita al riguardo in modo
scientifico.
Questa
cominciò nel crocchio sul sagrato in attesa della
messa delle 7.
-
Avrà i suoi difetti Don Riccardo, ma bisogna dire che è un gran bell'uomo. Certo, mi chiedo come possa uno così rinunciare
alla compagnia di una donna, anzi non mi meraviglierei se non ci rinunciasse
per niente…
E
le altre all'intorno, chi più chi meno, esprimevano la loro opinione al
riguardo:
-
Eh sì, troppo bello e
troppo maschio! –
Oppure: – Ma come fa a fare il prete e a
rinunciare a certi piaceri un maschio così…
E
allora intervenne la Ciuffina, con una frase buttata lì, che
non sembrava pertinente al discorso:
– Non so se avere notato, ma dopo tanti anni
ha ripreso a venire a messa l'Adalgisa, e si mette sempre in prima fila.
Inoltre, si confessa ogni giorno, e sta dentro al confessionale anche mezz'ora.
Certo, di peccati ne ha da raccontare, con quel povero marito che è più cervo
di un cervo!
Le
altre, quasi inconsciamente, finirono con il collegare un discorso all'altro e,
anche senza certezze, non poterono che concludere che fra il pretino e Unapertutti doveva esserci qualche
cosa.
Come
un lampo, questa intuizione si trasformò in ghiotta notizia e si sparse per il
paese ad una velocità incredibile, tanto che ne venne a conoscenza anche Don
Zeffirino.
Seduto
sulla sua poltrona a dondolo, e massaggiandosi le gambe doloranti per
l'artrite, meditava sul da farsi: parlarne al vescovo e magari sentirsi dire
che era una sua calunnia inventata di sana pianta per liberarsi di quel curato
scomodo? Affrontare il problema di petto con Don Riccardo, con il rischio però
che questi, sostenuto com'era dalla curia, lo facesse
allontanare del tutto dalla sua parrocchia?
Sembrava
un problema senza soluzione: l'unica cosa certa era che quel prete impostogli
diventava ogni giorno più scomodo.
Non
trovò di meglio che pregare, ma Dio quel giorno sembrava intento a problemi ben
più gravi e nemmeno dopo 50 orazioni aveva le idee più chiare di prima.
Intanto,
il prete dongiovanni poco a poco dimenticava i motivi per cui
era arrivato lì: messe poco preparate - e del resto durante la funzione non
aveva gli occhi che per l'Adalgisa -, niente più comizi, ritardi frequentissimi
ai pasti preparati dalla perpetua, ai quali si accostava peraltro di
malavoglia, rivelando un'inappetenza paurosa che gli fece perdere ben cinque
chili nel giro di una settimana. Inoltre era sempre agitato, passava notti
insonni, e nemmeno all'alba Morfeo gli concedeva la grazia di potersi
abbandonare, proprio perché da lì a poco, alla messa delle 7, avrebbe rivisto
la sua Adalgisa.
La
donna avrebbe voluto portarselo a letto già da un bel po', ma stranamente in
quel periodo non ci furono morti e quindi il marito se ne stava sempre a casa,
anche per il freddo che pativa in modo particolare, e farlo in campagna sarebbe
stato a dir poco proibitivo, con la neve e con il gelo di quei giorni. Insomma
non si intravedeva una soluzione logistica in tempi brevi.
Poi
arrivò un colpo di fortuna: il vecchio Boldi, 97 anni
ancora ben portati, scivolò sul ghiaccio e, quantunque apparentemente non si
fosse fatto niente, dopo nemmeno tre ore esalò l'ultimo respiro. I funerali si
sarebbero tenuti il giorno dopo e dato che il morto, ateo irriducibile da
svariati anni, aveva lasciato scritto che pretendeva che il rito funebre non
fosse religioso, non c'era pericolo che Don Riccardo fosse impegnato.
Le
esequie si svolsero in un giorno gelido, sotto un'abbondante nevicata che
avrebbe reso più lungo il lavoro dell'affossatore. Insomma, era un insieme di
condizioni ideali.
Quando
in paese non ci fu più nessuno, perché tutti erano al funerale, un'ombra nera
s'accostò alla casa dell'Adalgisa e, trovando la porta socchiusa, s'infilò
rapidamente nel varco.
La
donna, un po' per esperienza e un po' per risparmiare tempo, attendeva nuda sul
letto; Don Riccardo sbarrò gli occhi sbavando, poi con ancora la tonaca indosso
fece per gettarsi su di lei che, però, lo fermò.
-
Spogliati, starai più comodo e sarà più bello.
Lui
non si fece pregare, quasi stracciandosi la lunga tonaca, e la raggiunse in un
attimo.
Dopo
un po' di preliminari e proprio quando, all'apice del desiderio. don Riccardo si apprestava a compiere l'atto, si udì un urlo
disumano e sulla porta della camera da letto apparve Tricorno che imbracciava
un fucile da caccia.
-
Delinquenti, vi ammazzo tutti e due! Porco di un prete, te lo faccio vedere io
ad approfittare di una donna sola e indifesa!
L'altro,
nudo come un verme, si era raggomitolato come un riccio e guardava con occhi
sbarrati la canna del fucile puntata contro di lui.
Tricorno
tirò con forza il grilletto, ma si udì solo un click; e di quell'insuccesso,
tutto preventivato perché nell'arma non c'erano cartucce, approfittò
immediatamente Riccardo, balzando dal letto come una tigre. Con una spallata,
il biondo pretino buttò da una parte il marito apparentemente inferocito, poi,
con la tonaca in mano, corse giù dalle scale e guadagnò l'uscita.
Sulla
porta però si fermò: sotto la fitta nevicata c'era tutta gente del paese che
l'aspettava. Nudo com'era, si raggomitolò nuovamente a riccio e si sentì
mancare, ma prima di perdere i sensi vide chiaramente il flash di una macchina
fotografica.
Inutile
dire che Don Riccardo fu richiamato velocemente dal vescovo, che lo destinò a
un periodo di lunga penitenza. Il suo posto non fu preso da nessun altro e così
Don Zeffirino testò a dirigere la sua parrocchia, evitando nell'omelia
qualsiasi accenno politico, mentre il Guercio riprese la campagna elettorale
con i toni decisi, ma moderati. che
gli erano propri.
L'Adalgisa
ritornò a disertare le messe e si consolò ben presto con gli altri maschi del
paese.
E
Tricorno?
Continuò
il suo lavoro, orgoglioso per una volta delle proprie corna.
(Da
“Storie di paese”)