Quando nacque fu subito
chiaro che c'era qualche cosa che non andava, con quella testa sproporzionata,
gli zigomi sporgenti, il naso schiacciato, per non parlare delle orecchie,
enormi, quasi da elefante, come ebbe più volte a ridire in paese l'ostetrica,
con la raccomandazione che doveva essere considerato un segreto, e aggiungendo,
per maggior chiarezza – E' un mostro, qualche cosa di orrendo, peggio
di una scimmia.
Per quanto ovvio, tutta
la comunità nel giro di ventiquattro ore era già a conoscenza dell'avvenimento e
nel passaparola ogni caratteristica somatica veniva ingrandita, tanto che più
d'uno ebbe a raccomandare alle gestanti di evitare accuratamente di guardarlo,
onde non rischiare di perdere il nascituro.
Il medico condotto, il
vecchio ed esperto Dottor Chesi, dopo averlo esaminato,
si passò le mani nei capelli e si rivolse agli attoniti genitori – Purtroppo,
non è normale; è affetto da una grave sindrome, di cui al momento ignoro il
nome; vedremo come si svilupperà.
Il piccolo fu chiamato Antonio, ma, per le
tradizionali abitudini dei paesi di storpiare, il nome venne ben presto modificato in
Tonio.
Per tutto il tempo che fu in fasce l'occasione di
vederlo da parte di estranei all'ambiente familiare fu del tutto casuale,
preferendo i genitori non portarlo in carrozzina per le vie del paese;
nondimeno in giro tutti sapevano di altre caratteristiche emerse, quali la
costante irrequietezza e il fatto che non riuscisse a parlare, fatta eccezione
per improvvisi e acuti strilli. Era la zia che passava le
notizie e che aveva anche trovato il motivo di quella disgrazia; che fosse vero
o inventato, infatti, andava ripetendo – E' stato tutto al sesto mese, quando
un pipistrello una notte d'estate è entrato nella camera da letto di mia
sorella; ha preso uno spavento incredibile e sapete bene che certe cose, in
quello stato, possono provocare conseguenze irreparabili.
Gli altri annuivano e qualcuno più maligno
diffondeva la voce di una tara ereditaria, ricordando, velatamente, che il
nonno era stato spesso soggetto a esaurimenti nervosi.
Chiacchiere su chiacchiere che si smorzarono alla
svelta non appena Tonio, ormai in grado di reggersi sulle proprie gambe, in
preda alla sua irrequietezza, cominciò a guadagnare la porta di casa, sfuggendo
alla sorveglianza della mamma, per avventurarsi per le vie del paese, senza una
meta, un deambulare forsennato che lo portava a percorrere non poca strada.
Fu aumentata la sorveglianza, ma
mano a mano che il bimbo cresceva si dimostrò del tutto inutile, perché proprio
non si riusciva a tenerlo chiuso in casa: si agitava, strillava, sbatteva
perfino il testone contro il muro. E allora, considerato che all'epoca il
traffico era del tutto sporadico, i genitori decisero di non ostacolarlo. Stava
fuori quasi tutto il giorno, dall'alba al tramonto, a gironzolare su e giù, con
un'andatura ciondolante, il corpo scosso tutto da un tremito come in preda alla
febbre. Il medico condotto consigliò ai genitori di somministrargli dei
calmanti, ma le dosi, sempre più massicce, non sortivano alcun effetto e già
disperavano di trovare il medicinale più efficace quando
accadde uno strano fatto.
Era un giorno di sagra, una di quelle feste
semplici di paese: tutti si ritrovavano in piazza a giocare all'albero della
cuccagna, a correre nei sacchi, a sentire la banda. E quando questa iniziò la
sua esecuzione, Tonio, che girava su e giù, si fermò di colpo, si sedette sul
selciato ad ascoltare assorto.
Il medico che, per caso
era lì, ebbe poi a ricordare l'espressione estatica degli occhi del ragazzo –
Era come rapito; il suo corpo non tremava più; ero davanti a lui, ma sembrava
non vedermi; il suo sguardo seguiva il ritmo della musica.
Quando la banda terminò il suo repertorio, Tonio si
mise a strillare e fu di nuovo percorso dal tremito; si alzò in piedi e fuggì
via.
Da allora, ogni giorno, quando usciva di casa,
correva subito alla piazza e cercava quella banda e quella musica che non
c'erano più.
Su consiglio del medico, i genitori fecero un
grosso acquisto per l'epoca: una radio.
La soluzione, tuttavia, non sortì effetto: la
musica riprodotta dall'apparecchio non destava interesse a Tonio, quasi non
l'udisse.
Non così l'anno successivo, alla nuova sagra: era
un caldo giorno d'estate e Tonio era sulla piazza già da ore, ma solo a sera
inoltrata arrivò la banda. E l'errabondo si trasformò nuovamente: il volto
contratto si distese fin dalle prime note, gli occhi seguirono una visione solo
sua, in una serenità che, appunto perché non gli era propria, si notava
immediatamente.
Inutile dire che il beneficio durò solo per il
tempo dell'esecuzione e subito dopo Tonio ridivenne quello di prima che tutti
conoscevano.
Gli anni passarono, Tonio divenne un adulto, a suo
modo, e, poiché i giapponesi avevano messo in commercio delle piccole radio
portatili, i genitori decisero di regalarne una al loro disgraziato figliolo.
In quel minuscolo apparecchio Tonio ritrovò la sua
banda; non mancava giorno che non uscisse di casa, portandoselo dietro, per
precipitarsi in piazza, dove l'accendeva, se lo portava all'orecchio e stava ore e ore seduto ad ascoltare musiche di tutti i tipi, dalle
canzonette ai brani d'opera. Si trasformava e pur nell'orrore di quel viso così
scimmiesco si potevano notare gli occhi rilucere di vita e, qualche volta,
riempirsi anche di lacrime.
Fu per lui un periodo felice, anche se non era
proprio così per i negozianti della piazza, a cui di
certo il volume elevato della radio non poteva non dar fastidio, ma che non
dicevano nulla, perché tanta era la gioia di Tonio che ne venivano contagiati.
Sì, come qualcuno andava dicendo in giro, era lo scemo del paese, ma grazie a
quella musica non era più considerato una bestia, bensì un essere umano,
sfortunato, diverso, ma che provava anche lui emozioni,
e forse sentimenti.
Poi, come spesso capita con questi poveri
disgraziati, la cui vita ha un corso più breve della
media, un giorno di primavera Tonio non apparve sulla piazza. Tutti si chiesero
subito il perché e temettero il peggio; sentirono i genitori e seppero così che
non stava bene, non aveva forze, non riusciva ad alzarsi dal letto.
Passarono i mesi della primavera e la salute di
Tonio andò gradualmente peggiorando; il figlio del Dottor Chesi,
subentrato al padre come medico condotto, andava dicendo in giro, a chi glielo
domandava, che probabilmente non sarebbe arrivato alla fine dell'estate.
Fu una stagione caldissima quell'anno,
senza pioggia, con la gente che attendeva con impazienza il giorno della sagra,
a metà agosto, quando in genere un bel temporale cambiava la stagione.
E quel giorno arrivò; la sera, sul selciato
ribollente la gente aspettava la banda e guardava il cielo, dove nubi cariche
d'acqua cominciavano a comparire.
Parlottavano tutti del più e del meno, quando lo
videro: magro, barcollante, Tonio si trascinava per la strada. Quando fu sulla
piazza, si buttò a terra, davanti ai componenti della banda, in prima fila.
Cominciò l'esecuzione, con il solito repertorio da
anni, e Tonio oscillava il capo, seguendo il ritmo; arrivati all'ultimo brano,
fecero appena in tempo a iniziarlo quando un tuono secco
coprì il suono degli ottoni e immediatamente iniziò a piovere. In un attimo la
piazza si svuotò, tutti sparirono, tutti meno uno: Tonio, che rimase seduto,
immobile, sotto la pioggia scrosciante, come se nulla accadesse intorno a lui.
Il suo vecchio padre provò a chiamarlo, a dirgli di
mettersi al riparo, ma inutilmente; andò allora a prenderlo, gli mise una mano
sulla testa e Tonio si rovesciò su un lato. Capì subito e, mentre le lacrime si
mescolavano alla pioggia, lo strinse a sé, prese il suo volto fra le mani, gli
accarezzò i capelli fradici, poi se lo caricò sulle spalle e si avviò verso
casa.
(Da “Storie di paese”)