Lui e lei
di Renzo Montagnoli
Quando negli umidi giorni di novembre
scende la nebbia ad avvolgere ogni cosa, rendendo spettrale la visione del
mondo che ci circonda, tanto da avvertire un brivido interno, una sorta di freddo
dell'anima, mi viene in mente. Ogni volta rivedo tutto come se il ricordo si
materializzasse e allora il gelo sale rapido, proviene dal profondo, si
aggrappa al mio corpo e mi stringe lo stomaco.
E' stato tre anni fa, una mattina dal
chiarore lattiginoso, tale da impedire la vista del pallido sole autunnale, ma
non di celare i riflessi bluastri e arancioni dei
lampeggianti delle auto della polizia e delle ambulanze, luci intermittenti che
andavano e venivano.
Ma prima, prima il segno
inconfondibile della tragedia: una sirena lacerante, poi un'altra ancora.
Già udire il suono provoca
apprensione, ma sentirlo avvicinarsi sempre di più, per poi cessare di colpo
vicino a dove abiti trasmette un'angoscia, la certezza che lì, a pochi metri,
qualche cosa di grave è accaduto.
Non ho potuto fare a meno di voler
sapere e mentre mi precipitavo in strada nella mente si creavano rapide
congetture. Che si tratti di Pino, che
non stava bene? No, perché lui abita più in là. Forse la signora Giovanna,
sempre malaticcia. No, nemmeno lei, perché ieri è entrata in ospedale.
E intanto ero sceso in strada e
affrettavo il passo verso quei riverberi di luce. No, fa che non sia uno di loro. Come potrebbe vivere l'altro? E invece
penso che sia così, perché ora vedo le auto, le ambulanze e sono davanti alla
casetta di lui e di lei.
Rimasi prudentemente sull'altro marciapiedi, in mezzo a tanti vicini attoniti, a
gente che, come me, voleva sapere.
- Sei qui anche tu?
Mi voltai e vidi il sindaco, con gli
occhi smorti, una maschera che non riusciva a celare un'intensa commozione.
- Abito vicino, Luigi; ho sentito le
sirene, poi ho visto i lampeggianti nella nebbia e sono corso subito. Che è
successo?
In quel momento il braccio cortese di
un poliziotto si interpose fra lui e me.
- Signor sindaco, il procuratore
vuole parlarle.
Lo vidi allontanarsi e sparire nella
nebbia, mentre invece dalla casa uscirono degli uomini che portavano due casse
di zinco.
Tutti
e due, allora… E mi vennero le lacrime agli occhi.
In pochi attimi rividi immagini
dimenticate, risentii voci che sembravano ormai accantonate negli archivi
polverosi del passato.
“- Buona giornata. Siamo i due nuovi
vicini.
- Bene arrivati.
- Grazie.”
“ - Passa sempre per questa strada
con la sua cagnolina.
- Ha bisogno di un po' di moto.
- Sarà una compagnia per lei, vero?
- Una grande compagnia”
“- Sono un ferroviere in pensione e
con la liquidazione abbiamo preso questa casetta. E' piccola, ma noi siamo solo
in due e non abbiamo altri. Per fortuna che c'è un giardinetto, dove mettere le
rose.
- E' un passatempo anche il
giardinaggio.
- Certo”.
Erano tutti convenevoli di buon
vicinato, ma non ci presentammo nemmeno, tanto che per me loro due erano
semplicemente lui e lei, niente di più di due persone un po' avanti con gli anni
e molto educate.
Tuttavia, passa un giorno, passa un
altro, ogni volta veniva spesa una parola di più.
L'impressione che ebbi chiara era quella di due esseri in perfetta simbiosi,
nel senso che ognuno era in funzione dell'altro e del resto trovarsi in età
avanzata senza parenti non faceva che rafforzare quel legame.
Erano però riservati e da loro seppi
ben poco di quel che era stata la vita condotta insieme, tranne una volta.
“- Io e mia moglie avevamo anche un
figlio.
Tacque un momento, come timoroso di
svelare un segreto.
- Poi, aveva ventidue anni, un
incidente, un ubriaco con l'auto…
E si fermò, guardandomi con gli occhi
lucidi, occhi in cui si leggeva un dolore che non era passato.
Lei non disse niente, anzi gli
appoggiò la mano su una spalla e sussurrò:
- Rientriamo. Ci scusi.”
Da quella rivelazione i colloqui
ritornarono ai puri convenevoli, quasi se l'aver aperto il loro animo a uno
sconosciuto fosse stata un'imprudenza, o forse anche
una mancanza di rispetto nei miei confronti.
E quindi ripresero i soliti saluti, o al
massimo brevi accenni al tempo, o a problemi di giardinaggio.
Poi, un giorno, passando, mi accorsi
che non c'era nessuno in casa, fatto piuttosto strano per l'orario, e anche al
ritorno non notai anima viva. Così per diversi giorni, almeno una decina, fino
a quando una mattina lo vidi che mi guardava da dietro la finestra. Feci un
cenno di saluto con la mano, ma non rispose.
Solo al ritorno
dalla mia passeggiata compresi che cosa era accaduto. Lui mi aspettava
in giardino, sembrava quasi che avesse bisogno di dirmelo.
“ - Mia moglie ha avuto un ictus, è
totalmente paralizzata e non ragiona più.
- E' a casa?
- Sì.
- Vedrà che poi piano piano recupera. Non si butti giù, mi raccomando. Se ha
bisogno di qualche cosa, quel che posso, volentieri…”
Non rispose e a capo chino rientrò in
casa.
Tre giorni dopo, la nebbia, le sirene
delle ambulanze e della polizia e quelle due casse di zinco, una risposta
inequivocabile alla mia domanda.
Dal quotidiano locale, il giorno
dopo, appresi quel che era accaduto.
Lui, vinto dallo sconforto, aveva
ucciso la moglie con due colpi di pistola e poi si era
suicidato con la stessa arma. Il giornalista aveva costruito un bell'articolo, quasi strappalacrime sui problemi della
solitudine, citava più volte i nomi e i cognomi dei due coniugi, quasi li avesse conosciuti.
Non ricordo più come si chiamassero, un dettaglio di nessuna importanza, a fronte di
fatti che superano ogni umana comprensione, laddove l'unico elemento certo è un
vincolo indissolubile anche oltre la vita.
Ecco, io li voglio ricordare così e
per me saranno sempre lui e lei.
(da Storie di paese – Seconda serie)