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  Racconti  »  Storie di paese Seconda Serie  »  La luce del tramonto 17/04/2008
 

La luce del tramonto

di Renzo Montagnoli

 

 

Il Guercio riuscì a riprendersi dall'infarto che lo aveva colpito, così che dopo un mese di ospedale poté ritornare al paese.

Quando lo vidi gli manifestai tutta la mia gioia per trovarmelo davanti, in piedi, anche se visibilmente affaticato. Non potei fare a meno di notare le spalle cadenti e lo sguardo quasi spento, ma rispose con forza alla mia vigorosa stretta di mano, anche se l'impressione che ricavai fu quella di uno che avvertiva la necessità di ricevere quel calore che sempre era riuscito a trasmettere, ma che ora sembrava scomparso.

- Benvenuto fra noi. E ora ci si potrà rivedere più spesso.

Come un bambino in castigo, mormorò:

- Sì, mi hanno rimesso in piedi, ma mi hanno proibito di fumare, di bere, anche un solo bicchiere di vino,  perfino di star lontano dal bar, per via del fumo passivo.

- Non preoccuparti: ci troveremo in piazza, a parlare sulla panchina.

- Sì, faremo così.

E se ne andò strascicando i piedi.  

Ebbi, però, sempre meno occasioni di incontrarlo, quasi che lui volesse sfuggirmi, rinchiudendosi in un bozzolo di senile solitudine.

Da altri seppi così delle sue nuove abitudini e del resto, conosciuto com'era e in un ambiente ristretto come quello del paese, non poteva passare inosservato.

Ogni giorno, quando le giornate erano di sole, quasi sempre nel pomeriggio andava a fare lunghe passeggiate lungo le sponde del Po; di tanto in tanto sostava, specialmente quando trovava un pescatore, e stava a lungo a osservarlo, senza dir nulla.

Guardava l'acqua, lo sguardo correva lungo la lenza, poi ridiscendeva fino alla superficie increspata.

Non parlava, al massimo salutava, e restava lì, a volte anche ore, a mordere un mezzo toscano spento, spento come lui.

Un giorno, la vicina, alla quale i figli del Guercio avevano dato l'incarico di vigilarlo con discrezione, lo vide uscire con un cartoccio.

- Dov'è che va, Guercio?

- A passeggiare.

- E quella roba lì?

- Un po' di avanzi.

- Avanzi? Per chi?

- Per lui.

Poi affrettò il passo e si eclissò.

La stessa scena si ripeté il giorno dopo e l'altro ancora; il Guercio sembrava cambiato, pareva aver ripreso vigore e ovviamente di questo se ne accorsero tutti in paese, tanto che cominciarono a fare congetture.

- Sta a vedere che ha trovato un vagabondo.

- No, per me dice che sono avanzi, ma lì dentro c'è un fiaschetto di vino e una scatola di toscani.

- E se invece che avanzi fosse la merenda?

Erano discorsi fatti anche per passare il tempo, ma la curiosità cresceva, perché in effetti tutti notarono che era scomparsa l'apatia dei primi mesi e che, se non aveva il piglio gagliardo di un tempo, comunque stava ritornando in piena forma.

Fu così che Armando, l'ex postino, pensionato pure lui, si prese la briga di seguirlo.

La sera al bar il novello Tom Ponzi raccontò tutto.

- Com'è uscito di casa, ha piegato a sinistra, per la strada dei campi, e di passo buono…avreste dovuto vedere come filava.

- Dai, lascia stare, dicci tutto.

- Ho detto così, perché facevo fatica a stargli dietro.

- Ci credo, hai messo una pancia che sembra un mappamondo.

- Sta zitto tu se vuoi che continui a raccontare. Dicevo che andava svelto e quando è arrivato al bivio, là dove una strada porta alla vecchia Cappella e a destra invece ai ruderi della fornace, insomma quei tre muri scalcinati che stanno in riva al Po, ha piegato di qua.

- Di qua dove?

- A destra, se mi stai ad ascoltare capisci. Ha girato, guardandosi intorno, tanto che ho appena fatto in tempo a nascondermi dietro il vecchio olmo. Poi ha ripreso veloce e io dietro a una trentina di metri.

Quando è arrivato ai ruderi, ha fatto un fischio e…

- E?

- E dall'erbaccia è venuto fuori un cagnolino, che scodinzolava. Il Guercio si è seduto, lo ha accarezzato, poi ha aperto il cartoccio e gli ha dato da mangiare.

Ci fu un mormorio di delusione, da parte di chi aveva capito che ormai la storia era finita e da parte di chi invece aveva fatto le supposizioni più inverosimili.

Ricordo che dissi:

- Un cagnolino, per un anziano senza nessuno, è la compagnia che ci vuole.

Ne fui felice, però, perché il mio vecchio amico non si sarebbe sentito più solo.

Si arrivò così al mese di settembre, già l'aria cominciava a rinfrescare e le ombre della sera sempre più rapide scendevano ad annunciare l'imminente autunno.

Anche quel giorno il Guercio uscì con il suo cartoccio, fece la stessa strada, arrivò alle rovine della fornace e chiamò il suo piccolo amico. Questi corse rapido scodinzolando e gli si accovacciò ai piedi. Non si poteva dire che avesse un pedigree, tanto era il risultato di innumerevoli incroci, con le orecchie a sventola che sembravano aquiloni, la coda che pareva la traccia del pennino di un sismografo allo scatenarsi di un terremoto del decimo grado della scala Mercalli, il pelo per nulla uniforme, là una macchia rossastra, qua una nera e un musetto sottile, tutto bianco, a testimoniare che anche lui non era nel fiore degli anni.

Il Guercio lo accarezzava mentre quello si sfamava e quando ebbe finito entrambi si avviarono verso il fiume. Là, dove l'ansa è più ampia, dove la corrente fugge rapida verso la foce, si fermarono e si sedettero.

In distanza s'intravvedevano in controluce due ombre, tanto da pensare che a Thomas Mann l'idea del suo romanzo Padrone e cane potesse essere venuta da una simile visione.

Entrambi guardavano il sole al suo tramonto e nel riflesso tremulo della luce sull'acqua il Guercio scorse ciò che non vedeva da tempo.

Erano immagini che apparivano e sparivano in successione, volti di gente che non c'era più, ma che era sempre rimasta nel suo cuore.

E così ora rilucevano il viso giovane e illuminato dall'amore della Tilde, il faccione, burbero, ma rassicurante di Don Zeffirino, il volto deforme e contratto di Tonio, e poi tanti altri ancora, che si succedevano con una rapidità impressionante, non più comparse, ma protagonisti di tutta una vita: Cosimo Gasparini, Tricorno, Unapertutti, Nostradamus.

Ognuno sembrava reclamare il suo posto sul palcoscenico e ognuno recitava se stesso. L'ultimo fu Alì, una sorta di statua della libertà che invece di tenere la fiaccola indicava l'occidente, dove il sole ormai stava calando del tutto e le lunghe ombre delle piante sulle rive sembravano giganti a protezione di un mondo che lento se ne andava.

I due, l'uomo e il cane, fissavano quell'astro lontano, sempre più rosso cupo, due statue unite dalla commozione.

E quando il Guercio non riuscì più a trattenere le lacrime, il suo piccolo amico volse il muso e la sua lunga lingua corse su quel viso scosso dal pianto.

Fu un attimo, un attimo solo d'estasi, ma Annibale Chiocchetti, il capopopolo, il difensore dei deboli, ora debole anche lui, abbracciò il cane, lo strinse a sé.

- Dixi, ti chiamerò Dixi. E ora, andiamo, vieni con me, ritorniamo a casa, alla nostra casa.

 

(da “Storie di paese” – Seconda serie)

 

 

 

 
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