Niente
cittadinanza agli jihadisti, ci odiano
di Ferdinando
Camon
Quotidiani locali del Gruppo
"Espresso-Repubblica", 30 agosto 2014
Abbiamo un nuovo problema: gli arruolatori di
assassini in casa nostra. Islamici jihadisti, residenti
in Italia e con la cittadinanza italiana, che predicano la santità della guerra
e il dovere per i credenti di partire subito e andare a combattere. Alcuni di
questi combattenti sappiamo dove combattono, e alcuni di quelli che sono morti
sappiamo dove sono morti. Ce n'è uno che era partito portandosi dietro il
figlioletto piccolo, che il prossimo 4 settembre compirebbe tre anni, lui è
morto in battaglia e il figlio non si trova. La domanda che l'Italia si pone è
questa: come si fa a scoprire questi predicatori della morte, arrestarli,
mandarli via? Bella domanda.
Ma ce n'è un'altra che viene prima, è stringente e molto istruttiva: perché
questi signori, incompatibili con noi, con la nostra società, con la nostra
costituzione, sono qui, accanto a noi? Come hanno fatto a entrare? Come hanno
fatto a ottenere la nostra cittadinanza? Non c'è un nostro errore, un errore
cronico, nel modo in cui accogliamo quelli che arrivano, li registriamo e li
lasciamo stabilirsi nelle nostre città, e fare quel che vogliono, anche quello
che non è permesso dai nostri codici e dalla nostra costituzione?
Sì, abbiamo commesso e ripetiamo questo errore.
Quando “giustiziano” un prigioniero gli jihadisti si
schierano alle sue spalle, lui sta inginocchiato, dietro di lui stanno i suoi
prossimi assassini con il comandante in mezzo, e il comandante legge un
discorso. Lo legge, non lo improvvisa a voce. È un testo per la storia, diretto
a tutti, anche a noi che lo sentiremo dal video con ore o giorni di ritardo.
Loro stanno uccidendo quel prigioniero, o quei prigionieri (perché adesso sono
passati agli sgozzamenti plurimi), ma quei prigionieri sono simboli, attraverso
quei simboli gli assassini vogliono colpire tutti quelli che sentono come
nemici, e cioè “noi”. Il capo della squadra che ha sgozzato i quattro
prigionieri lo scandisce ad alta voce: “Così devono morire cristiani ed ebrei”.
Del resto, l'imam di San Donà del Piave lo diceva
nelle prediche invocando Allah: “Fai morire tutti gli ebrei, avvelena quel che
bevono, avvelena quel che mangiano”. Una predicazione da Stato nazista. Ma
siamo noi uno Stato nazista? Possiamo permettere a chi viene qui di crederlo e
comportarsi di conseguenza? Dico questo perché quell'imam è convinto di avere
il diritto di rientrare, e sta brigando per questo. Non ha mai capito che in
Italia non si può essere anti-semita, come altri imam non capiscono che non si
può essere anti-cristiani. Non lo capiscono perché non glielo facciamo capire.
Uno può essere contrario alla politica degli ebrei in Palestina, ma non può
invocare un secondo Olocausto. Uno può rifiutare i princìpi
del Cristianesimo, ma non può invocare la distruzione dei cristiani. Uno può
guardare Roma e il Vaticano con disprezzo, ma non può dire che lì porterà
l'Islam con la guerra santa. Se questo dice e questo sostiene, se raccoglie
uomini e li manda a uccidere e a morire in una guerra santa contro di noi,
allora è nostro nemico e non possiamo accettarlo in mezzo a noi. Se l'abbiamo
accettato e gli abbiamo dato la cittadinanza, è stato un errore, che va
corretto e non ripetuto. Nel momento in cui entrano, gli immigranti dovrebbero
fornire delle risposte in cui dichiarano che non intendono fomentare il
razzismo, la guerra civile, la violenza e così via. Sembrano domande stupide, e
infatti quando dobbiamo rispondere per entrare negli Stati Uniti, ci ridiamo
sopra, ma ora capiamo la loro utilità: basterebbe che all'imam di San Donà mostrassimo le risposte che ha dato a quelle domande,
per fargli capire che ci ha mentito. Il nostro errore cronico sta nel modo con
cui diamo la cittadinanza. Non mi stanco di ripetere, dovremmo scremare
chi vuol venire qui per vivere in maniera compatibile o non incompatibile con
noi, ma non dovremmo far passare chi vuol venire qui per vivere contro di noi.
E invece passano in massa.
www.ferdinandocamon.it