Quale futuro ci aspetta?
di Lorenzo Russo
Giorno per giorno
si vive la vita tra l'incubo della caduta e la gioia di riuscire a realizzare
qualcosa.
C'è chi corre alla
ricerca di guadagni materiali e soffre da morire nel caso che li perdesse, chi
è invece alla ricerca di valori trascendentali personali che gli diano il senso
di essere pronto e sereno per il trapasso anche quando dovesse morire sul colpo.
La morte, pensa, è
una cosa naturale, innaturale è chi la deve subire senza essersi realizzato,
cioè senza aver cercato e trovato la sua potenzialità spirituale capace di
relativizzare l'attrazione della materia della quale è fatto questo mondo, ed
essersi impegnato a trasmetterla nella sua esistenza.
In fin dei conti
si può vivere per godere tutto ciò che la materia offre o per elevarsi su una
sfera che tutto blocca e che è vizio e peccato, cioè dannoso alla propria
condizione psichica e fisica.
Credere in un Dio
misericordioso è inutile come il lasciarsi andare alla leggerezza di una
condotta di vita senza futuro. Al più serve a tranquillizzare la propria anima
rimasta incosciente e succube.
Più ragione, tesa
a mantenere l'equilibrio tra l'adesso e il dopo, farebbe bene alla psiche
perché l'aiuterebbe a non lasciarsi trascinare troppo né dall'uno né dall'altro
modo di assimilazione.
Fa bene quindi
provvedere al proprio sostenimento nella stessa intensità del preoccuparsi del
prossimo, quando fosse diventato incapace e indifeso.
E qui è necessario
molta istruzione, educazione e controllo, dalla nascita fino alla fine, di modo
che la società non diventi la mecca di furbi, avari, egoisti, presuntuosi,
malviventi, ladri, violenti, sfruttatori.
Cosa poi sarà dopo
questa vita non è più rilevante, quando la si abbia vissuta in serenità e pace
con se stesso e il prossimo.
Allora, abbasso il
buonismo improduttivo, la ricchezza non meritata, che serve solo a creare un
ghetto a danno degli altri che ne devono rimanere fuori, sebbene se lo meritino.
È l'onestà che va
presa in considerazione e non le remunerazioni e celebrazioni di coloro che
tendono unicamente al proprio tornaconto.
Per realizzare
questa forma di società bisogna liberarsi dei preconcetti denigratori di certe
mansioni, come il mestiere del facchino, del lavapiatti, del netturbino e così
via, anche perché senza di loro la vita dei benestanti peggiorerebbe di molto.
Anzi, li si
dovrebbe tenere in alta considerazione e, a mio parere, ogni cittadino dovrebbe
esercitare anche tali professioni per un certo periodo di tempo della sua
preparazione , da mettere in atto per renderlo un valido membro della comunità,
di modo che essa cresca in senso collegiale, unitario.
L'intelligenza non
va quindi intesa come requisito personale, da poter sfruttare per sé, ma come
dono della natura, che sarebbe meglio impiegare per il bene della collettività.
Di questo passo,
intelligente è colui che si adopera a istruire gli altri, di modo che anche
loro o i loro discendenti un giorno lo diventino e la società possa migliorare.
Il futuro della
società moderna sta proprio in questo principio.
Allora sì che la
vita perderebbe una grande porzione del male che l'ha caratterizzata fino ad adesso.
Invece noto un
persistere delle differenze, creanti privilegi di ogni genere e di certo non
meritati nel loro ammontare, già addirittura una corsa a fare carriera e ad
ammucchiare soldi e prestigi.
Di chi è la colpa,
mi chiedo?
Del popolo minuto
che, invece di reclamare la disuguale e svantaggiosa situazione, si dimostra
diviso, incosciente, incoerente?
Mi sembra di sì, e
vedo una sua causa nel fatto che una folta schiera di questa massa gode delle
preferenze e privilegi ricevuti dalla casta dei padroni affinché continui a
sostenerla.
La condizione di
“servo e padrone” determina ancora lo stato attuale della società, e questo
dopo settant'anni di vita democratica e l'enorme sviluppo intellettuale e
cognitivo compiuto.
Allora in primo
luogo il cittadino, seguito dai partiti, governanti, sindacati, industriali,
banchieri.
Oggi il mondo è
cambiato molto, ma mi sembra che la società nel suo insieme non l'abbia ancora
capito o faccia finta di non capire, e così la estesa classe dei suoi
privilegiati, vecchi e nuovi, continua a godere a costo degli altri.
L'errore numero
uno è stato quello di credere nei partiti, non che non siano necessari, ma
perché non si è creata una norma specifica ed efficiente di controllo della
loro gestione.
Un partito che non
mantiene le promesse elettorali va punito severamente e non più sostenuto,
costi quel che costi.
Al contrario
riscontro come i partiti stessi, qui intendo i loro capi, abbiano steso una
fitta ed estesa rete di dipendenze, di natura economica e politica, tra i loro
sostenitori, simpatizzanti e neutrali per assicurarsi il potere di decisione.
Ignoranza degli
elettori, quindi, e sostenimento di una buon parte di loro per conservare i
vantaggi personali ricevuti.
Con l'istituzione
dell'Unione Europea si doveva semplificare l'amministrazione pubblica
nazionale.
Il contrario è
avvenuto ed ora il cittadino ne paga i maggiori costi.
Quando la
globalizzazione costringe le imprese a espatriare, ritengo giusto verificare
seriamente se ce ne sia una vera necessità, perché spesso ciò accade per
incrementare ancor più il profitto.
Questo sarebbe il
minimo da fare, di modo che la crisi non raggiunga livelli destabilizzanti
l'equilibrio sociale, come si rivela già oggi.
Fare sacrifici è
comprensibile e accettabile. Prima si era vissuto troppo bene ed è quindi
giusto che i paesi del terzo e quarto mondo ricevano l'occasione di superare il
loro grave grado di povertà, ma il tutto ha un limite che vedo superato.
Da qui penso che
di pari passo dovrebbero fare sacrifici anche i ben pagati della pubblica
amministrazione, rinunciando volontariamente a una buona parte della loro fin
troppo elevata remunerazione e prebende varie.
E cosa dire dei
dirigenti bancari, di quelli delle imprese parastatali e così via, la lista
degli sfruttatori è di certo lunga.
Al contrario
nessuno ha rinunciato a un minimo di qualcosa ricevuto di troppo, mentre le
tasse aumentano senza fine per il popolo pagante.
Insomma, affinché
la diversità attitudinale dell'uomo non diventi un privilegio per pochi, essa
debba essere retta dal concetto, da intendere come risultato dello sviluppo
cognitivo dell'uomo in ogni campo delle sue attività e scoperte, che solo il
rispetto reciproco, sostenuto dalla rettitudine, offrirebbe la migliore e forse
unica possibilità di salvarlo, non solo dai soliti conflitti di sempre, bensì
dalla sua definitiva estinzione.
Quanti sforzi
educativi ed istruttivi siano ancora necessari per inculcargli il sopra esposto
concetto di vita mi diventa palese ogni volta che analizzo la situazione
mondiale esistente.
Di questo passo
possiamo dire: addio “Democrazia”, si salvi chi può`, la barca sta affondando e
i capitani sono spariti, non si sa dove.
E tu cittadino,
che hai tradito gli ideali di unità e eguaglianza coi tuoi simili per trenta
denari, ora affondi e non c'è più nessuno che possa salvare la tua coscienza
venduta.
Per il tuo piccolo
tornaconto hai perso l'accesso alle forze migliori della vita, hai venduto la
tua anima per i benefici materiali di questa vita.
Piccolo sei stato
e insignificante rimarrai nel grembo di questa terra.
Che un Dio esista
o no non è più importante, mentre lo è la volontà di voler discernere il bene
dal male, l'unica condizione per dare alla vita un valore liberatorio e quindi
divino.
Dove si andrà a
finire ce lo insegna la storia, il cui ruolo è quello di ammonire le mancanze
degli uomini tutti, affinché la speranza di essere redenti in questo mondo non
rimanga una parola senza futuro.