"Il
figlio di Saul": un canto fra i latrati
di Ferdinando Camon
"Avvenire" 27 gennaio
2016
Il
modo migliore di celebrare il giorno della memoria è andare a vedere il
film Il figlio di Saul. Terribile a vedersi, ma non vederlo è un delitto.
Un capolavoro aumenta in chi lo vede la voglia di vivere, una vita che ti fa
incontrare capolavori è un regalo del destino. Ma stavolta non è così. Vedi
questo film perfetto, e resti muto e spento. C'è un attimo di smarrimento in
sala quando il film finisce, nessuno fiata. Non so se esista uno strumento in
grado di misurare la “vitalità” delle persone, la voglia, la capacità di
vivere, ma se esiste, e se si potesse usarlo sugli spettatori che escono dalla sala
dopo aver visto questo film, si scoprirebbe che la loro vitalità è prossima
allo zero. È un film che ti fa vergognare. Perché mostra che cosa sono stati
capaci di fare gli uomini, e poiché tu sei un uomo, vergognandoti di loro ti
vergogni di te. Non conosciamo ancora bene le lugubri imprese del Daesh, non ce le hanno mostrate per intero, e siamo grati
di non averle viste. Chi verrà dopo di noi le vedrà. E proverà la stessa
vergogna che proviamo noi oggi, vedendo questo film che ci mostra il macabro
lavoro di un Sonderkommando. Sì, tutti abbiamo visto
Birkenau (nessuno doveva uscire dal secolo scorso senza averlo visto), dunque
abbiamo visto i luoghi dove si svolgeva l'abominevole operazione che si
chiamava Sterminio. Ma quei luoghi oggi sono muti. Li vedi ma non li senti. E
ogni racconto, ogni testimonianza, ogni diario che li descrive, non te li fa
sentire. E senza sonoro sono morti. Il film recupera il sonoro. Urla, pianti,
percosse, imprecazioni, latrati, abbaji, e ordini,
ordini, ordini, che con i latrati e gli abbaji si
fondono in una sola lingua, non umana ma canina. I soldati che fanno queste
cose sono umani trasformati in cani. L'ideologia, il razzismo, l'odio per gli
altri, l'obbedienza ai capi, le “cose dei padri” cioè la patria, hanno
costruito questo risultato. Ci sono cani che prima mordono e poi ringhiano,
così questi uomini-cani prima calano la bastonata e poi urlano l'ordine. Nessun
dubbio che il lavoro del Sonderkommando o si fa così
o non si fa. Siamo nella catena di montaggio dello Sterminio, i forni, la
cenere da smaltire nel fiume, le docce da lavare, via un carico sotto l'altro.
Nella catena di montaggio, a sterminare ebrei, sono altri ebrei, schiavi. Uno
di questi, un ungherese, crede di riconoscere in un bimbo morente il proprio
figlio. O, più probabile, vede quel piccolo morente e lo adotta come figlio. Ne
nasconde il cadavere, lo porta sempre con sé, anche nella fuga, per tutto il
film gira in cerca di un rabbino che sul piccolo morto reciti il Kaddish, la preghiera ebraica per santificare il corpo da
seppellire. Il film vive sul contrasto tra i corpi sprezzati come immondizia, e
il corpo di questo bambino santificato. Noi oggi siamo in un'epoca di corpi che
esplodono, muoiono per uccidere, e questo film ci offre un corpo morto da santificare,
cioè da far vivere in eterno. Il film è sull'urto tra l'odio razzista e l'amore
paterno. Non abbiamo mai spinto lo sguardo così dentro l'orrore dove la strage
si compie ininterrotta. La storia del film dura un giorno e una notte e un
giorno, 36 ore, e in questo tempo i carichi di deportati che arrivano sono
molti e imprevisti, come arrivano vanno sterminati, prima che capiscano
qualcosa. L'aspetto più dis-umano dello Sterminio è la “normalità”, anzi la
“serenità”, con cui i carnefici lo eseguono. Le SS sono scherzose, fanno
complimenti sulla lingua ungherese, ammazzano con nonchalance, con
divertimento. Così avveniva in Cambogia. In Rwanda.
In Bosnia. Così avviene nel Daesh. Nel lavoro della
morte o impazzisci o ti diverti. Qui le SS si divertono, come Jihadi John con il coltello alla gola del prigioniero.
Divertendosi, passano al dileggio. Il protagonista Saul casca in mezzo a un
gruppetto di SS, lo potrebbero ammazzare subito, invece accennano con lui a un
duetto di danza. In una fabbrica si producono pezzi di ricambio, e pezzi, Stücke, plurale di Stück, sono i
cadaveri prodotti nel mattatoio. Nel buio di questo Inferno si sente a tratti
il Kaddish: contro i latrati di un'umanità di cani,
la dolcezza di un canto divino.
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