Le
spose bambine
di Ferdinando Camon
"Avvenire" 17
maggio 2016
La storia della bambina yemenita di 10 anni, data in sposa a un uono che ha trent'anni di più, è ovviamente una storia di
violenza. Allora la domanda è: chi fa violenza sulla piccola? Chi la costringe
a seguire un uomo adulto, a subire tutto quello che lui vuole, come una
schiava? È stata vinta in guerra? La sua famiglia, il suo popolo è stato
distrutto, e lei è alla mercé del nemico vittorioso? Il padre è sconfitto? La
madre capisce tutto e piange perché non può farci niente?
Nient'affatto, la spiegazione è molto più amara di così. Ce la offre un film
che gira nei nostri cinema in questi giorni, La sposa bambina. Partiamo
dall'ultima domanda: la madre. La madre non difende la figlia, la madre sa
tutto e collabora perché tutto avvenga. È lei che consegna la piccola
all'adulto che se la porta via, è lei che riconduce la figlia all'obbedienza
quando la figlia si ribella e scappa. Il marito a sua volta ha una madre, e
anche questa madre spinge la piccola ad obbedire e subire, che la piccola
moglie si ribelli al marito è al di là dell'immaginabile. Dunque: la schiavitù
sessuale delle bambine non vede le donne-madri come ostili e ribelli, ma come
collaborazioniste. È la comunità delle donne adulte che perpetua la schiavitù
delle donne bambine.
Questa è la prima, traumatica rivelazione del film girato in Yemen da una
regista yemenita, su una storia realmente accaduta, che ha per protagonista una
bambina di 10 anni, ma nella quale la regista racconta anche la sua personale
infanzia, perché anche lei fu data in sposa all'età di 11 anni, e subì quel che
nel film racconta. Il film dà molteplici garanzie di autenticità. Nella parte
finale c'è un'arringa in tribunale, pronunciata dall'avvocata che difende la
bambina e che ricorda al giudice e a quelli che ascoltano che le Nazioni Unite
parlano di 70mila bambine vittime ogni anno di questi “matrimoni infantili”.
Sono vittime del potere maschile, che in questi casi porta alle estreme
conseguenze un principio-cardine dell'Islam: l'uomo vale più della donna.
L'autorità maschile è tutto, la volontà femminile si deve adeguare. Il potere
maschile ha il vertice nel piacere sessuale, l'adeguamento della donna
all'autorità maschile raggiunge il massimo quando si mette al servizio di quel
piacere. La donna ha un senso in quanto serve al piacere maschile. La donna che
non serve a questo, non serve a niente. La vita della donna deve correre verso
questo senso fin da prima della pubertà. C'è qualcuno, nel film, che a un certo
punto canta una strofe del peggior maschilismo, che dice così: “Se a otto anni
la sposerai, / grande piacere le darai”. Noi ci sdegniamo, tra il pubblico
sentivo serpeggiare incredulità e condanna, ma anche noi dobbiamo domandarci un
paio di cosette. La piccola Chicca, buttata giù dall'ottavo piano da un orco
violentatore, aveva 6 anni, e la storiaccia non era all'inizio, era
cronicizzata, come dice la perizia, e le madri del palazzone non erano
all'oscuro, c'erano nonne che sapevano tutto e tacevano, e madri che
addirittura collaboravano. E poi: tra le bambine islamiche che frequentano le
scuole in Italia, ci sono ogni anno circa 2mila quattordicenni che non
s'iscrivono all'anno successivo, come mai? che fine fanno? Vengono rispedite in
patria a sposare uomini adulti scelti dai loro padri. Queste bambine
appartengono a famiglie con cittadinanza italiana, e dunque sono mie sorelle.
Per trascuratezza, per incuria, per inefficienza, noi forniamo ogni anno circa
2mila di quelle 70mila bambine-spose di cui parla l'Onu. Certo, non siamo
responsabili di quella usanza. Però, non siamo innocenti di quella pratica. Il
film si chiude con la piccola che sorride, sui banchi di una scuola: ecco qual
è la soluzione, l'istruzione. Il marito violentatore della sposa bambina è
analfabeta. Il violentatore-assassino della piccola Chicca non sappiamo quante
scuole abbia frequentato. Ma se diciamo nessuna, con ogni probabilità
indoviniamo.
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