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Editoriali
» E' umiliante come trattano i libri in tv, di Ferdinando Camon |
22/09/2016 |
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È
umiliante come trattano i libri in tv
di
Ferdinando Camon
"La
Stampa" 13 settembre 2016
“È
noiosa” diceva un ospite accanto a me, seguendo in teatro la
serata del premio Campiello. Gli risposi: “È umiliante”.
I conduttori sono bravi, inventano, commentano, cantano. Ma è
una delle pochissime trasmissioni tv dedicate ai libri, perché
si canta? Perché si parla della mostra del cinema? Perché
si riempiono gl’intervalli suonando? Perché le
diapositive mostrano un titolo da prima pagina su “Dialoghi tra
Bergoglio e Balotelli”? Uno che per tutta la vita ha fatto
libri, come me, e che è lì in attesa di ricevere un
premio alla carriera, si sente umiliato. Ricorrono cinquant’anni
dal mio primo libro, io intendevo il premio alla carriera come
festeggiamento delle mie nozze d’oro con la scrittura, e invece
di sentire citazioni e celebrazioni di quella che ho sposato, la
letteratura, sento battimani e canti e risa di gioia per la donna che
han sposato altri, la canzone, la musica, la politica, la tv…
Ho sbagliato donna. Ho sbagliato carriera. Ho sbagliato vita. Che
umiliazione!
Dicono: ma se parliamo di libri il pubblico si
annoia, quello che è in teatro va a casa, e quello che è
a casa cambia canale. Allora si cerca di tener su lo spettacolo con
le battute comiche, citazioni di film, di politica, di sport, del
mondo dei cantanti… I libri sono una piccola noiosa appendice
che per entrare nelle case del pubblico dev’essere nascosta nel
cavallo di Troia dello spettacolo di massa. Al pubblico si può
parlare di libri e di scrittori senza che il pubblico lo sappia,
bisogna sorprenderlo: il pubblico è lì per la cornice,
lo spettacolo, la bravura dei conduttori, e solo en passant si
sorbisce qualche titolo, qualche trama, qualche commento. Gli resterà
in testa qualche copertina. Forse qualche curiosità. Da
domani, l’un per mille dei telespettatori, fermandosi davanti a
una libreria, riconoscerà qualcuno dei libri visti in tv, e
l’un per mille di questi che si fermano entrerà e lo
comprerà. E così la tv ha assolto il suo compito. La
trasmissione ha funzionato. L’anno prossimo la ripeteranno
identica.
È un’occasione sprecata, non solo per i
libri, che di occasioni non ne hanno molte, e non solo per gli
scrittori, che fra tutti i cosiddetti artisti sono i paria, ma anche
per i lettori e gli spettatori. Ogni autore è un deposito di
drammi, di scontri, d’incomprensioni, con i famigliari, con i
genitori, i figli, gli amici, con la vita vissuta, con se stesso.
Ogni libro nasce da questi drammi, e li moltiplica. Ha vinto Simona
Vinci. Il suo tema è la follia. Non in astratto, ma in ambito
famigliare. Come si convive con la follia? Come si scrive? Io ho
scritto un libro intitolato La
malattia chiamata uomo,
esiste una malattia chiamata donna? Non ditemi che queste domande non
interessano al pubblico, perché non è vero. Tarabbia ha
scritto un libro su un serial killer ideologico, e finita la lettura
mia moglie mi ha detto: “Tu sei cattivo, ma Tarabbia è
malvagio”. Tarabbia lo ammette? Doninelli è un mio
pallino, scrive bei libri ma gli fan pagare il suo cattolicesimo.
Essere cattolico è un handicap? La mia risposta è “Sì”.
Al pubblico non interessa? Chi lo dice? La Rasy possiede una lingua
classica, punta alla durata, ma vincere un premio è un
exploit: la durata è conciliabile con l’exploit? Non si
poteva leggere qualche pagina di ciascun libro in gara? Se penso alle
battute che han riempito la serata mi viene da ridere. Ma se penso
alle citazioni immortali che stanno nei libri e sono sempre ignorate,
mi viene da piangere. Con i libri inchiodi il pubblico, lo esalti. Se
vuoi divertirlo, vuoi troppo poco, i libri non vanno bene. Ma non è
colpa loro. È colpa tua.
www.ferdinandocamon.it
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